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Alessandra “Vittima di un amore malato e della solitudine”

Pubblicato il 27 Agosto 2022

“Mi sono sentito nuovamente usato e manipolato da Alessandra”.

Si autoassolve Giovanni Padovani. L’assassino di Alessandra Matteuzzi è chiaro e lucido mentre ripercorre le 24 ore che hanno preceduto la mattanza.

Non le racconta al gip Andrea Salvatore Romito. Ma ne parla, a lungo, con i poliziotti, che lo fermano subito dopo l’omicidio, martedì sera in via dell’Arcoveggio.

Questo prologo a una morte orrenda, viene rissunto nelle dieci pagine di ordinanza, in cui il giudice, stabilendo il carcere per Padovani, parla di “eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni”.

Unica misura possibile, visto il pericolo di recidiva, per tutelare “in particolare, i famigliari della Matteuzzi, esposti al rischio di ritorsioni o gesti connotati da pari carica aggressiva”.

“Tutte le volte in cui io ho accondisceso alle richieste di Padovani è stato per paura di scatenare la sua rabbia”.

E così si esprimeva Alessandra Matteuzzi nella denuncia presentata il 29 luglio per segnalare lo stalking di Padovani.

“Ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa”, aggiungeva, denunciando di essere controllata da Padovani anche sui social.

L’autopsia sulla donna ha rilevato molti colpi al cranio e lesioni al torace.

“Era una bella persona: forse è stata proprio questa bontà che non le ha permesso di vedere il diavolo che aveva davanti. E quando se ne è accorta ed è andata a fare la querela, era tardi”. Così Sonia Bartolini, avvocato a Pavullo nel Frignano e cugina di Alessandra Matteuzzi, ricorda la donna la 56enne.

Sonia non si dà pace e vuole raccontare chi era veramente Alessandra, vittima di quello che lei definisce “un amore malato”. Nell’ultimo anno e mezzo era arrivata la crisi di “una donna che non aveva figli, che ha dedicato la vita al lavoro, alla moda, che anche per questo si presentava in maniera particolare e ammiccante sui social, ma le cui caratteristiche di serietà, di generosità non sono mai venute meno”.

alessandra matteuzzi non era come appariva sui social
Sonia Bartolini e Alessandra Matteuzzi

“Mia cugina – racconta Sonia – era una persona intelligentissima, una donna con un carattere molto forte, che nella sua vita ha sempre aiutato tutti quelli che doveva aiutare, di una generosià estrema: questa caratteristca del suo carattere si è resa più labile gli ultimi due anni, in seguito alla malattia del padre che lei ha sempre curato come un bambino, e poi della madre, che si è ammalata gravemente di Alzheimer e che ha curato come una bambina tenenedola in casa fin che ha potuto. Per impegni lavorativi non poteva più seguirla, ha cercato di trovare delle badanti, ma la malattia di mia zia era cosi’ avanzata che era ingestibile anche in questo modo, ed è stata inserita in una struttura”.

Poi il periodo più buio: “Nell’ultimo anno e mezzo non era completamente Sandra, c’era stata una crisi – racconta ancora la donna – si era isolata tanto, io l’avevo sentita la settimana scorsa e l’avevo sgridata perché era dimagrita troppo, era sotto i 50 chili ed era alta 1,73 cm. E poi anche la vergogna, perché lei provava vergogna di essere caduta in questa storia. Proprio perché era una persona intelligente, aveva consapevolezza di sbagliare. Probabilmente – ragiona la cugina, che non si dà pace per questa tragedia – la solitudine ci porta ad essere confuse”.

Sonia esclude quasiasi leggerezza da parte di Alessandra: “Pensare che lei fosse la donna che aveva delle storie con giovani, o che aveva più storie, questo assolutamente lo escludiamo. Non era così. Anzi. Ha rifiutato tante volte delle storie perché in lei doveva scattare qualcosa o comunque lei voleva delle storie serie, non delle avventure, non era mai stata una persona di questo tipo: esattamente il contrario di certi commenti che ho letto su di lei, che nascono un po’ dall’immagine che postava, sempre con dei filtri, le labbra in evidenza”.

“L’avevo rimproverata – racconta, quasi ancora in una forma di protezione la cugina – dicendole che doveva pensare a se stessa, trovare le cose che la facevano stare bene e cercare soprattutto di mangiare un pochino di più. Era molto sofferente”.

Adesso che è partita l’inchiesta sulla morte di Alessandra, bisognerà capire cosa è successo veramente dopo la denuncia per stalking presentata dalla donna lo scorso 29 luglio nei confonti di Giovanni Padovani, che imponeva il suo controllo chiedendo un video ogni 10 minuti ma che era passato di recente anche a versarle dello zucchero nel serbatoio della macchina per non farla partire, fino a sottrarle le chiavi o tagliarle i fili della luce per intimorirla.

“Non c’è stata nessuna disposizione e poi c’è un vuoto sicuramente tra il 29 luglio e il 22 agosto che secondo me dovrà essere ricostruito. Bisogna capire in quei giorni cosa è successo”, spiega la cugina di Alessandra. “Padovani, per saltare gli allenamenti ed essere espulso dalla squadra, voleva dire che era andato completamente fuori, forse aveva saputo anche della denuncia”, è il terribile dubbio che anima oggi l’avvocato Sonia Bartolini, attiva anche nell’associazione ‘Donne e Giustizià di Pavullo.

“Ho letto la querela e ho un pensiero molto differente da alcuni colleghi. Quando una persona mi chiede una consulenza ed è vittima di moleste persecutorie”, spiega ancora Bartolini, “non faccio mai andare questa persona da sola a sporgere la querela: il rischio, quando ci si rivolge direttamente ai carabinieri, è che poi i tempi si dilatino ma soprattutto c’è il rischio che lo stalker possa sapere che tu vai in caserma, capire che lo stai denunciando. E così si scatena tutta la parte diabolica dell’orco. Da questo punto di vista, mi sento di prendere le distanze da come sono state gestite le cose. Ora bisogna capire per quale ragione la procura abbia inteso rimandare alla fine di questo mese la raccolta di ulteriori elementi probatori per poi arrivare eventualmente a adottare un provvedimento restrittivo. O questa querela non era stata confezionata secondo i canoni del codice rosso, tale per cui scatta immediatamente un provvedimento restrittivo- ragiona Bartolini – oppure ci sono stati dei ritardi nella raccolta dei mezzi istruttori ed è quello che dovranno accertare ora gli ispettori”.

“Doveva essere sentita un’amica cara di Alessandra”, ricorda la cugina, “la migliore amica di sempre, che però aveva perso la mamma da poco ed era arrabbiata con Sandra perché non accettava, come nessuno di noi accettava, questo rapporto malato con Padovani”.

Oggi, pensando a Sandra, restano il dolore e il ricordo. “Una persona molto seria, dedita al lavoro, dove peraltro aveva anche grosse soddisfazioni, vendeva tantissimo, anche con il suo modo di vestire, di apparire, di poporre il suo prodotto: aveva veramente successo e riscontro nei negozi in cui andava a presentarsi. Lavorava per una società che distribuisce marche medio-alte di moda, e aveva tantissime clienti. Io stessa quando andavo nei negozi, mi dicevano: ‘ho visto tua cugina è sempre di una bellezza’ e poi si presenta con delle cose che non puoi non comprare. Una bella persona, insomma – conclude Sonia Bartolini – che nella vita ha dedicato forse troppo ai genitori trascurando se stessa, arrivando nel momento in cui i genitori sono venuti meno – anche se la mamma c’è ancora – a perdere le fondamenta del suo carattere e le sue caratteristiche”.