Alessia Pifferi, la chat che fa venire i brividi: “Voglio baciare anche lei”

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“Voglio baciare anche lei”. E la replica della madre: “Lo farai”.

C’è una nuova accusa contro Alessia Pifferi, la madre in carcere da fine luglio con l’accusa di aver lasciato morire la figlia Diana di soli 18 mesi.

L’ipotesi investigativa, che coinvolge anche un 56enne bergamasco, nasce dalle chat estrapolate dagli inquirenti milanesi dal cellulare della donna.

In particolare, c’è uno scambio scritto che ha messo in allarme la Procura. 

Parole, a cui ora si cercano riscontri, che hanno fatto scattare una perquisizione domiciliare dei poliziotti della Mobile. Anche nei confronti dell’uomo, con cui Alessia Pifferi intratteneva una delle sue molteplici frequentazioni, è scattata la denuncia e adesso è indagato.

La 37enne Alessia Pifferi è in carcere da luglio per omicidio volontario aggravato per aver lasciato sola in casa per 6 giorni la figlia di un anno e mezzo.

E’ stata proprio l’ultima chat assieme a molte altre, che ha portato oggi la Squadra Mobile ad effettuare una perquisizione a carico dell’uomo, 56 anni.

Sia lui che Pifferi sono indagati sulla base della chat e gli accertamenti sono finalizzati a trovare eventuali riscontri. 

In sostanza, da quanto si è saputo, nell’inchiesta coordinata dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, sono state analizzate numerose chat acquisite dal telefono sequestrato alla donna.

Conversazioni dalle quali, a quanto risulta, sono emerse le relazioni che la 37enne avrebbe avuto con diverse uomini, in alcuni casi anche in cambio di denaro. Sotto la lente degli inquirenti è finito, in particolare, un dialogo dal contenuto erotico tra la donna e il 56enne, residente nella Bergamasca.

Dopo quel “Lo farai” è scattata per gli inquirenti l’esigenza della perquisizione effettuata oggi dagli investigatori. Alessia Pifferi e l’uomo allo stato sono indagati per “corruzione di minorenne”. All’uomo sono stati sequestrati due pc e un telefono. 

Il reato di corruzione di minorenne è punibile con una pena fino a cinque anni. 

A tre mesi dalla morte di Diana si evince, dal capo di imputazione, che la madre – attualmente in carcere a San Vittore – l’ha abbandonata “per sette giorni” nell’abitazione in via Parea, periferia est di Milano, lasciandola così morire di stenti.

Dalla relazione preliminare dell’autopsia emerge, inoltre, che le sono stati fatti assumere delle gocce di tranquillanti “En” (benzodiazepine), sostanza che sarebbe stato trovata anche nel biberon trovato nella culla.

Gli accertamenti sui capelli non lascerebbero dubbi sul fatto che la sostanza contenuta nella boccetta sia stata diluita nel latte, ma bisognerà attendere la relazione finale per poter leggere quantità e la data dell’assunzione.

La madre, accusata di omicidio volontario pluriaggravato, ha sempre negato agli inquirenti di averle dato il farmaco che potrebbe aver inciso sulle cause del decesso della figlia.

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Redazione Nazionale

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