Amy Coney Barrett. A domanda non risponde

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Continua il processo di valutazione della candidata alla Corte Suprema nominata da Donald Trump. Nella seconda e terza giornata si è svolta la fase “Q&A” (domanda e risposta), dove i senatori chiedevano e l’interrogata rispondeva, più o meno.


11 ore e 17 minuti (martedì) e 8 ore e 56 minuti (mercoledì), tanto sono durati il secondo e il terzo giorno di audizione alla Commissione Giustizia per Amy Coney Barrett e per la sua intera famiglia che l’ha accompagnata in aula. Una test di tenuta fisica e psicologica che, per fortuna, è stata in parte risparmiata ai suoi bimbi più giovani, fatti uscire di tanto in tanto dalla “zona interrogatorio”. Una prova di resistenza che la candidata ha superato perfino meglio dei microfoni da cui lei e i senatori parlavano e che sono saltati tutti in blocco per ben due volte durante la giornata di ieri. Lindsey Graham, il presidente della commissione, ci ha pure scherzato su “Non stiamo pagando le bollette?”


La procedura per creare un nuovo giudice della Corte Suprema, partendo da un candidato nominato dal presidente degli Stati Uniti, prevede tre giornate di valutazione da parte del Senato cui poi segue una votazione che conferma o rifiuta la candidatura. Durante questa fase i membri della commissione vagliano e investigano il potenziale giudice ogni lato della sua vita e della sua carriera.
Tutto ha importanza agli occhi e alle orecchie dei senatori, dunque si va dalle domande apparentemente innocenti sulla famiglia, sugli studi e persino sugli hobby del candidato per arrivare alla scansione del suo pensiero attraverso un’attenta analisi del suo lavoro, di ciò che ha prodotto fino a quel momento, dunque un esame di tutti i documenti disponibili, siano essi articoli, pubblicazioni o sentenze. Ciò è utile a capire come la persona ragiona e da che punto parte per produrre un pensiero, una giudizio.


Fra tutti i quesiti posti in questi importanti contesti quelli che a noi possono sembrare un po’ “esotici” sono quelli tangenti la sfera personale, domande che a noi possono apparire pure un pochino fuori luogo ma in America rientrano nella normalità. Anche la vita di ogni giorno di un servitore dello stato ha un suo peso. Così non deve sorprendere se, ad esempio, il Senatore Kennedy (Rep) abbia deciso di chiudere la sua serie di quesiti con “É una domanda sincera, sono genuinamente curioso, chi fa il bucato nella vostra casa?”. Un lecito punto di domanda considerando che la famiglia di questo giudice è piuttosto numerosa se comparato con gli standard contemporanei.
Nel caso interessasse pure la risposta, fra l’atro una delle poche che la Coney Barrett ha dato senza problemi ne tecnici giri di parole, in casa hanno “tentato di responsabilizzare i ragazzi, ma non sempre questo tentativo ha avuto successo”.


Uno dei maggiori problemi però durante questo tipo di audizioni è rappresentato dalla tendenza dell’interrogato a dire il meno possibile, nel timore di scoprirsi troppo anticipando orientamenti e punti di vista. Il candidato infatti vuole apparire il più neutro possibile, una tinta pastello così tenue da non essere quasi percepita e che, guarda caso, va bene con tutto. Dunque, posto che questo è più o meno lo standard di comportamento per tutti quelli che si sottopongono a questo genere di esami, la candidata alla Corte Suprema ha passato 20 ore evitando di rispondere.
Così, in una situazione in cui la candidata è stata scelta da una sola parte che ha già deciso di promuoverla e ha i voti per farlo, la verifica in senato diventa più che altro un’occasione per fare comunicazione.

La Commissione Giustizia del Senato diventa dunque un luogo dove fare campagna elettorale, dicendo ai proprio elettori abituali ‘come vedete mi occupo di queste cose che ci stanno tanto a cuore” o rivolgendosi a un pubblico diverso e avvisandolo: ‘fate attenzione, perché se votate quelli là oppure non vi presentate alle urne vi capiteranno tutta una serie di cose che forse non vi faranno piacere’. A un certo punto la discussione attorno al banco vuoto presso la Corte Suprema, mandata in diretta nazionale su un buon numero di canali, si trasforma in una scusa per stimolare l’elettorato a mobilitarsi: ‘Hey, questa è la vostra vita, sono i vostri interessi!’.
Quali sono stati dunque i temi più gettonati e proposti con più forza al pubblico a casa attraverso questo rito parlamentare e televisivo? Cerchiamo di elencarli qui di seguito facendo riferimento alle leggi che li riguardano o alle sentenze che li hanno indagati e che, in un sistema giudiziario come quello americano, costituiscono dei precedenti su cui basarsi per i giudizi successivi:


Affordable Care Act
L’Affordable Care Act (detto anche Obamacare) del 2010, uno statuto federale che consente la copertura sanitaria o l’accesso a una miglior assicurazione sulla salute alle fasce finanziariamente più deboli della popolazione, o a coloro che essendo portatori di malattie croniche in passato no riuscivano a ottenere la tutela di un’assicurazione. Al momento questa misura è piuttosto popolare in America e sono più di 20 milioni di persone a beneficiarne. Alcuni senatori come il repubblicano Lindsey Graham, dicono che è una legge fatta male, iniqua, che porta sostanzialmente tre stati (California, New York e Massachusetts) rappresentanti il 22% della popolazione degli Stati Uniti a drenare il 35% dei fondi dedicati all’Affordable Care Act (ACA). Così Graham propone un bilanciamento diverso, che dai suoi conti porterebbe 1 miliardo di dollari in più al suo stato, e un maggior controllo locale di questi denari. A questa posizione del senatore del South Carolina si potrebbe eventualmente obiettare dicendo che, sul fronte dei prelievi fiscali, lo stato di New York è il primo contributore nazionale seguito New Jersey, Massachusetts, Connecticut e California. Possiamo dunque ipotizzare che non si tratti solo una questione di chi più spende più ha, come ha detto Graham in Senato, ma anche di chi più paga più riceve.

La senatrice Kamala Harris però ha voluto essere più elegante su questo tema, limitandosi a dare qualche numero orientativo: l’attuale impostazione dell’Obamacare serve quasi 2 milioni di texani, 607 mila cittadini della North Carolina e 280 mila del South Carolina, ma anche 227 mila persone in Iowa e 4,2 milioni californiani. Con la candidata alla Corte Suprema invece la Harris è stata più insidiosa, eseguendo due mini interrogatori in stile procuratore, quale lei era prima di approdare al Senato. In particolare, la candidata alla vicepresidenza ha focalizzato la sua attenzione sul fatto che la Coney Barrett fosse più o meno conscia dell’opinione e dei tweet di Donald Trump in fatto di Obamacare e se lui fosse avvertito della posizione critica di lei su come il giudice Roberts (nominato da G.W.Bush) scrisse la sentenza della Corte Suprema, dopo una votazione di 5 contro 4, con cui si manteneva in vigore questa misura.

Alla Harris infatti non è sfuggito il fatto che già nella sua prima campagna elettorale Trump aveva bocciato il giudice Roberts, di orientamento conservatore ma che sulla sanità si era schierato con i liberali, dicendo che se fosse divenuto presidente lui avrebbe nominato solo giudici che votano dalla parte giusta. L’anno dopo, il 2017, giungeva alla pubblicazione un articolo un cui Amy Coney Barrett criticava, con argomenti accademici, la sentenza stesa dal giudice Roberts dicendo che questo aveva tirato, espanso la legge oltre il plausibile. Nello stesso anno, qualche mese dopo quell’articolo, arrivava anche la nomina della Coney Barrett a giudice del 7° Distretto della Corte d’Appello. Le coincidenze continuando poi nel 2020 con Trump che annuncia il nome della candidata ala Corte Suprema e subito il giorno dopo si palesa in pubblico dicendo che l’Affordable Care Act sarebbe stato cassato e rimpiazzato dal suo programma.

Questa grande attenzione della Harris e di tutti gli altri senatori democratici a questo aspetto è dovuta al fatto che il 10 novembre verrà discusso alla Corte Suprema il caso CALIFORNIA V. TEXAS / TEXAS V. CALIFORNIA in cui l’Obamacare verrà messo in questione rischiando di essere abolito. In questo momento la corte ha 8 membri e si immagina che in fase di votazione ai tre giudici di orientamento liberale si affiancherà Roberts portando a un risultato di 4 a 4. Se invece i repubblicani riuscissero a completare il processo di nomina della Coney Barrett alla più alta corte si eviterebbe la parità e, secondo i democratici, lo statuto dell’Obamacare verrebbe annullato con a sostituirlo, per il momento, solo i tweet e presentazioni di Trump alla Casa Bianca. Il messaggio dei Dem alla Coney Barrett è che, in mezzo a queste dispute di politica, potere ed evidentemente anche soldi, molte persone hanno seriamente paura per la propria salute, per la propria vita e lei dovrebbe tenerne conto.


Aborto – Roe vs. Wade
Altra questione che per il Partito Democratico è seriamente a rischio è la legislazione in tema di aborto. Dal 1973 su questo tema si giudica in base al precedente costituito dalla sentenza Roe vs. Wade (Roe contro Wade) emanata dalla Corte Suprema proprio quell’anno.
Durante quasi tutti gli interventi dei Dem, nelle 20 ore di interrogatorio, hanno contenuto un quesito relativo all’aborto, con lo scopo di far dichiarare alla Coney Barrett la sua posizione su questo importante punto, che tocca la vita delle donne e il loro diritto di amministrare il proprio corpo come meglio credono e sentono, al di là di ogni altra considerazione di tipo sanitario o di altra natura. La candidata però ha trovato ogni formula possibile per non rispondere alle domande e dire cosa realmente pensa lei della pratica dell’aborto e di come la si gestiste ora negli Stati Uniti. In realtà tutti conoscono molto bene la posizione pro-life (antiabortista) del giudice Barrett tanto che persino i suo sponsor si spingono a dire al post suo quello in cui lei crede. All’apertura della giornata di ieri, infatti, il presidente della Commissione Giustizia Lindsey Graham ha esordito con “Non sono mai stato più orgoglioso di una candidata quanto lo sono di lei. Questa è la prima volta nella storia americana che nominiamo una donna dichiaratamente pro-life e che abbraccia la sua fede senza esitazione. E lei andrà alla Corte”. Più chiaro di così.


Ma alle quasi infinite domande dei senatori democratici sulla possibilità che la sua fede abbia una forte influenza su suoi eventuali giudizi in corte, davanti a casi di aborto oppure IVF (In Vitro Fertilization), lei ha continuato a ripetere come un mantra che ogni suo parere in sede di giudizio sarà frutto di un’approfondita analisi della legislazione, delle sentenze già emesse e da un ampio dialogo con i colleghi.
Nell’area democratica però si teme il peggio perché la candidata del repubblicani, in anni non sospetti quando faceva ancora parte del corpo accademico, si era spinta a dichiarare pubblicamente la sua contrarietà alla pratica dell’aborto. Così i Dem negli ultimi tre giorni non hanno fatto altro che rinfacciarle di aver sottoscritto, nel 2006, un manifesto pro-life pubblicato nell’anniversario della Roe vs. Wade dal gruppo St Joseph County Right to Life, un collettivo di antiabortisti di South Bend, nell’Indiana. Questo collettivo affermava che la vita inizia nel momento della fecondazione e dichiarava di essere contro la IVF, a cui spesso consegue una produzione di embrioni maggiore del richiesto che poi implica il problema di cosa farne. Inoltre, dalle ricerche svolte sul background di questo giudice è emersa la sua affiliazione alla University Faculty for Life, dal 2010 al 2016, che ha avuto parte nella raccolta di fonti per un Women’s Care Center, un centro per le donne incinte in difficoltà. Questo centro è stato al centro di qualche polemica e accuse per aver accolto alcune donne che cercavano di abortire e averle poi convinte a continuare la gravidanza.


Sebbene Any Coney Barrett non abbia voluto dichiarare quali sarebbero stati i suoi eventuali criteri di valutazione in un ipotetico caso concernete l’aborto ha però spiegato un aspetto interessante della questione, la rilevanza dei precedenti.
Nell’intento di capire in che modo il giudice inquadra le sentenze, i democratici, nella figura della Senatrice Feinstein, hanno chiesto alla Coney Barrett di chiarire la differenza fra “precedent” (precedente) e “super precedent”. Questa, premettendo che si tratta di linguaggio accademico, ha detto che esistono sentenze ben consolidate e che nessuno pare voglia attaccare mentre altre, pure importanti, non hanno trovato uguale accoglienza da parte di tutti e c’è ancora chi prova ad impugnarle. Pressata dalla Feinstein e successivamente dalla Senatrice Klobuchar, la Barrett ha spiegato che ad esempio la sentenza Brown vs. Board of Education (Brown contro l’Ufficio Scolastico), emanata dalla Corte Suprema nel 1954 ponendo così fine alla segregazione razziale nelle scuole, costituisce un super precedent in quanto nessuno sembra volervisi opporre portando qualche caso in tribunale. Diversa invece è la questione per la sentenza Roe vs. Wade che ora fa da perno il diritto all’aborto. Questa infatti ha subito diversi attacchi, alcuni non la condividono in parte o del tutto e in base a questo fattore lei la pone nella categoria dei precedenti ancora impugnabili.
Questa spiegazione resa molto bene dalla Barrett apre però uno scenario di instabilità per il diritto delle donne ad abortire quando lo ritenessero necessario ed entro i termini fissati dalla legge. Di fatto, basterebbe una causa presentata alle corti inferiori e che in quelle sedi di giustizia non trovasse soluzione per far arrivare la questione fino alla corte più alta, dove una maggioranza pro-life porterebbe decidere di superare la sentenza del 1973.


Contraccezione – Griswold vs. Connecticut
Fra I vari quesiti posti alla Coney Barrett c’è stato quello posto dal Senature Coons (Dem) sulla sentenza Griswold vs. Connecticut, datata 1965, che interpretando alcuni emendamenti della Carta dei Diritti (Bill of Rights) afferma il diritto alla privacy rispetto alla propria intimità, su cui lo stato non può interferire. La causa che ha condotto a questa sentenza verteva su una disputa fra il cittadino e lo stato che voleva impedire la prescrizione di medicine a scopo contraccettivo. Dopo quella decisione ciò che accade fra cittadino e il suo partner sono cose sue e se ha bisogno di una ricetta o dei consigli medici sul controllo delle nascite lo stato non si deve impicciare. Questa sentenza fece poi da base alla Roe vs. Wade su cui il mentore della candidata, il conservatore e originalista Antonin Scalia, espresse dissenso, come pure fece con l’Obamacare e la legge sui matrimoni omosessuali.
Alla domanda se lei pensasse che una sentenza precedente come la Griswold vs. Connecticut fosse stata ben decisa, la Barrett non ha risposto direttamente ma si è limitata a dire è “molto, molto, molto, molto, molto improbabile che vada da qualche parte”, cioè sembra difficile che qualcuno la voglia cambiare.
Alla fine, al di là di ogni ipocrisia, gli anticoncezionali fanno comodo a tutti.


Matrimoni omosessuali – Obergefell vs. Hodges
La prospettiva di arrivare ad avere una Supreme Court fortemente spostata verso il conservatorismo finisce per porre dei dubbi anche sulla tenuta di altre sentenze, come la Obergefell vs. Hodges del 2015 con cui la più alta corte degli Stati Uniti affermava il diritto per le coppie omosessuali di contrarre matrimonio. All’epoca, questo passo in avanti nella tutela dei diritti umani fu possibile interpretando due clausole (Due Process Clause e Equal Protection Clause) del 14° Emendamento della Costituzione, che affronta i diritti di cittadinanza e il diritto di tutti di avere la stessa tutela da parte della legge.
Ieri verso la fine dell’audizione il Senatore Crapo (Rep), facendo eco al Dem Blumenfeld, ha chiesto alla Barrett se il presidente o qualcun altro alla Casa Bianca le avesse mai parlato di sentenze controverse come la Roe vs. Wade oppure l’Obergefell vs. Hodges, se ci fosse un’intenzione di modificare qualcosa e lei ha risposto: “Non ho preso impegni su nessuno di questi casi o su altri casi”.
Il repubblicano con questa domanda ha cercato di anticipare l’alta marea, come hanno provato a fare anche altri suo colleghi della stessa fazione ponendo quesiti più diretti di quelli dei democratici stessi. Ma tutto questo ovviamente era concordato con la protagonista.
Crapo, restando sul tema dell’uguaglianza, le ha poi chiesto se pensava che qualcuno potesse essere al di sopra della legge, cosa già chiesta dai Dem in riferimento a Trump e alla suo ipotetica possibilità di assolvere se stesso. La sua risposta è stata: “Nessuno è al di sopra della legge negli Stati Uniti”.

Diritto al voto – Voting Rights Act
Essendo in pieno svolgimento delle elezioni e con 10 milioni di americani che hanno già votato, uno degli argomenti affrontati in queste giornate è stato il diritto dei cittadini all’esercizio del voto.
Nelle stesse ore in cui andava in onda l’audizione al Senato in alcune località del paese si stavano formando code chilometriche, di persone in fila per entrare ai seggi. In alcuni casi le estenuanti attese all’aperto hanno causato pure degli svenimenti fra i votanti, scene che potremo definire del terzo mondo.
In un momento in cui sembra che molte persone vogliano votare via posta e il presidente degli Stati Uniti, un giorno sì e l’altro pure, dice che nel voto postale si annida l’imbroglio e bisogna mandare più gente a controllare in giro, ogni domanda su questo tema diventa interessante. Così la Senatrice Kamala Harris ha portato all’attenzione dell’aula la sentenza Shelby County v. Holderdel arrivata nel 2013 e andata a incidere sulla legge che fino a quel momento aveva fatto da riferimento per il diritto di voto e la proibizione di discriminazioni razziali nel suo esercizio (Voting Rights Act, 1965).


Con la sentenza del 2013 della Corte Suprema, arrivata con 5 giudici a favore e 4 contro, si è andati a rimuovere la sezione 4 del Voting Rights Act che costringeva alcuni stati del sud a far controllare preventivamente ogni loro nuova disposizione in fatto di voto . Questa parte della legge fungeva da garanzia per le minoranze presenti sui territori in cui la discriminazione razziale era stata più marcata. Con la Shelby County v. Holderdel tali aree del paese acquisirono una maggiore autonomia decisionale, per esempio sul aprire o chiudere seggi elettorali oppure influire sulle liste dei cittadini iscritti al voto.
La domanda della Senatrice Harris su questo tema è stata se la Barrett fosse più o meno d’accordo con un’affermazione fatta tempo fa dal presidente della Corte Suprema, John Roberts, secondo cui la discriminazione di voto esiste tuttora.
Su questo la Barrett ha risposto: “Non commenterò ciò che qualsiasi giudice ha espresso in un’opinione, se un’opinione è giusta o sbagliata, né sosterrò quella proposizione” aggiungendo poi che in ogni caso non avrebbe “appoggiato la maggioranza o il dissenso alla sentenza Shelby County “.
In merito al razzismo però la Coney Barrett ha espresso un pensiero: “la discriminazione razziale esiste ancora negli Stati Uniti e penso che ne abbiamo viste le prove quest’estate”.


Sul tema del diritto di voto si è aggirato anche il Senatore Dem Cory Booker che nell’introdurre la tematica ha alla Barrett se le era capitato di aspettare cinque ore presso un seggio, o almeno di essersi trovata un’ora li in attesa. La sua risposta è stata no. Allora lui le ha spiegato che durante le primarie avvenute quest’anno ci sono stati molti disservizi, con molti seggi chiusi e la gente che si affollava a votare i quelli restanti creando code di ore. E questo, fra l’altro, accadeva in zone come il Wisconsin che fa parte del distretto in cui lei è giudice. Booker le ha portato poi un case study piuttosto interessante ovvero quello di due città, Milwaukee e Madison.
Milwaukee è un centro con più di mezzo milione di abitanti e 70% della popolazione di colore. In questo comune durante le primarie sono rimasti aperti solo 5 seggi elettorali sui 180 previsti portando al formarsi di lunghe file di votanti. A Madison invece, una cittadina con metà degli abitanti rispetto a Milwaukee e dove la maggioranza della popolazione è bianca, seggi aperti erano 66.


Un altro punto che il senatore democratico ha voluto portare all’attenzione del giudice Barrett è stato il problema della privazione del diritto di voto per il reato di “felony”. Con questo temine non si indica un crimine specifico ma si intende una categoria che include vari reati per cui è prevista la perdita di alcuni diritti fra cui il suffragio. Se si va a spulciare fra i numeri ci si accorge che all’incirca 1 nero americano su 17 perde il voto per questo tipo di sentenza e prendendo in esame uno stato come la Florida si può notare come ben 774 mila persone abbiano perso il diritto al voto a causa di una condanna di questo tipo. La maggioranza di questi cittadini è di colore. Di fatto, in quello stato americano 1 nero su 5 non può più votare in seguito alla segnalazione per questo tipo di reato. Qualcuno si immaginerà che sia necessario fare delle cose veramente brutte per ritrovarsi privati del voto. In realtà non è difficile rientrare in quel girone dell’inferno, basta semplicemente rimanere indietro con i pagamenti delle tasse o delle multe, o essere incriminati per spiaccio (anche di piccole quantità di droga) e ovviamente la fascia della popolazione più interessata da questo problema è la più povera e prevalentemente di colore.
Con ciò Cory Booker ha voluto portare un po’ di realtà agli occhi della Barrett che, dalla descrizione fatta da lui durante la diretta, erano spalancati nella sorpresa.

Questi evidenziati in questo articolo sono solo alcuni dei molti argomenti emersi durante le 20 ore di intervista del giudice Amy Coney Barrett alla Commissione Giustizia ma molti altri meriterebbero l’accensione di un faro. Fra tutti, il tema dei finanziamenti poco chiari alla politica americana, quelli che loro chiamano “dark money” ma che non corrispondono ai nostri “fondi neri” perché sostanzialmente sono legali (a meno che non arrivino dall’estero), ma hanno il brutto difetto di non essere immediatamente riconducibili a un finanziatore preciso e dichiarato.
Qualche corrente di pensiero immagina che dietro questo sforzo per portare la Barrett alla Corte Suprema ci siano entità con forti interessi nel far andare la giustizia, e di riflesso anche la legge, in un senso piuttosto che un altro.
Come ha più volte specificato Amy Coney Barrett, la giustizia dovrebbe essere più indipendente dalla politica e non meno. Questo era anche il pensiero del giudice Ruth Bader Ginsburg di cui lei con ogni probabilità prenderà il posto.
L’augurio è che questa questo buon proposito si riveli attuabile nel suo prossimo ruolo, di giudice della Supreme Court.

Fonti: Reuters – 13/10/2020, 14/10/2020

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Gigliola Antonazzi

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