Nella prima audizione al Senato degli Stati Uniti per valutare la candidata alla Corte Suprema, Amy Coney Barrett, i repubblicani e i democratici disvelano le loro strategie. Forse i giochi sono già fatti e i Rep hanno i numeri per confermare la nomina decisa da Trump, ma le tre giornate previste in Senato avranno una tale copertura mediatica da risultare un ottimo spazio di propaganda elettorale.
Il caso del seggio vacante alla Supreme Court Of The United States (SCOTUS) che il presidente Donald Trump vuole chiudere alla svelta, con la nomina di un giudice di “filosofia conservatrice”, ha guadagnato un notevole rilievo mediatico nonostante il periodo storico offra già un discreto menù di questioni da prima pagina come il Covid e le elezioni presidenziali.
L’assegnazione di un ruolo così importante all’interno del sistema giuridico americano è sicuramente un tema da seguire da vicino ma in quest’occasione particolare l’attenzione della politica, del pubblico e dei media è andata alle stelle, Questa questione infatti potrebbe avere un peso anche nelle vicende elettorali, nel malaugurato caso i due candidati risultassero vicini nei risultati del voto e si avesse bisogno di appellarsi alla più alta corte per risolvere la disputa sui riconteggi.
Questa nomina è un gigantesco pomo della discordia buttato nel mezzo della battaglia elettorale che ha fatto ulteriormente alzare la tensione fra i due partiti e portare ulteriori preoccupazioni a una parte dell’elettorato, quella che si sentiva rassicurata dall’approccio liberale del giudice Ruth Bader Ginsburg e che adesso teme si possa fare dei passi indietro con l’inserimento di Amy Coney Barrett fra i giudici della Corte Suprema.
Fino al momento della morte di Ruth Bader Ginsburg, rinominata dai suoi giovani fan come “Notorious RBG”, la composizione della Corte Suprema si era caratterizzata per la presenza di quattro giudici di area liberale (Stephen Breyer, Elena Kagan, Sonia Stotomayor e R. Bader Ginsburg) e cinque di orientamento conservatore (John Roberts, Samuel Alito, Clarence Thomas e i due giudici nominati da Trump ovvero Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh), ma con l’arrivo della Coney Barrett questo organo si orienterebbe in modo molto più deciso verso le posizioni conservative.
Amy Coney Barrett è un’avvocatessa e giurista nata a New Orleans da madre insegnante di francese e padre avvocato. Si è laureata a pieni voti in letteratura inglese e poi dedicata agli studi di legge presso la Notre Dame Law School. Il suo primo approccio lavorativo alla giurisprudenza è arrivato con il ruolo di assistente del giudice Laurence Silberman della Corte d’Appello (Distretto di Columbia) e poi come impiegata legale in supporto a Antonin Scalia, giudice associato della Corte Suprema noto per essere un esponente di spicco della corrente detta “originalista”, cioè che tende ad applicare la legge aderendo ai valori e ai presupposti in essere al momento della nascita della Costituzione americana, avvenuta nel 1787. La Coney Barrett ovviamente non è cresciuta molto lontano dall’albero di idee da cui deriva, cioè la visione originalista di Scalia, così ha raccolto e poi portato avanti questa filosofia giuridica, “applicare la legge così come la trovi”.
Dopo questa prima fase di formazione la carriera professionale di Amy Coney Barrett è proseguita come legale presso lo studio Miller, Cassidy, Larroca & Lewin (poi fusosi con Baker Botts LLP) a Washington, come professore associato alla George Washington University Law School e poi come professoressa alla University of Notre Dame Law School. Infine le è stato assegnato il ruolo di giudice del Settimo Circuito della Corte d’Appello degli Stati Uniti (che copre i territori di Indiana, Illinois e Wisconsin) su nomina di Donald Trump.
Questo fulmineo e fulminante curriculum presentato della candidata alla Supreme Court è stato proprio uno dei due cavalli su cui ha puntato con decisione il Partito Repubblicano nel presentare al Senato la Coney Barrett.
Consci di agire in modo impopolare e in contraddizione alle loro stesse dichiarazioni del 2016, quando bocciarono la candidatura alla Corte Suprema proposta da un Obama a fine mandato, i repubblicano ora hanno pensato di giustificare ogni loro incoerente azione con il profilo di questa donna di legge.
Nella prima audizione infatti i senatori del Partito Repubblicano hanno messo la candidatura di Amy Coney Barrett su un binario preciso, presentare la loro campionessa per tutto quello che di lei potrebbe piacere all’America che li ha votati e che potrebbe rivolerli li in Senato. Così gli interventi di quasi tutti i repubblicani si sono incentrati sulla reiterazione dello stesso concetto ‘lei è bravissima, piena di grazia, sa ascoltare, crede, ha sette figli ed è portatrice di valori fondamentali’.
Una sorta di messaggio unico che trovava eco in ognuno di loro. E per rendere ancora più visiva e plastica la cosa non sono stati risparmiati neanche i sette figli della Coney Barrett (5 biologici e due adottati), portati in Senato e tenuti li seduti per le prime due ore di audizione, ad ascoltare sia i complimenti dei repubblicani che le critiche dei democratici, per fortuna non rivolte direttamente alla madre ma a chi li l’ha portata.
Ma mostrare quei bambini, quei ragazzini era troppo utile. Loro facevano parte della strategia comunicativa nonché della dichiarazione finale letta dalla candidata in persona, che proseguendo sulla stessa falsariga ha riservato una parte cospicua del suo intervento alla presentazione di ogni membro della sua famiglia.
Fra le espressioni in assoluto più usate per descrivere la Coney Barrett c’è stata “working mother” (madre lavoratrice), perché era necessario far passare il messaggio della donna eccezionale che riesce a conciliare famiglia e lavoro “ma come fa?”. Il senatore repubblicano Josh Hawley, del Missouri, si è pure spinto a complimentarsi con lei per come i suoi pargoli stessero seduti belli composti e silenti da due ore. “Io ho due figli e non riesco a farli stare buoni così, i miei complimenti per i suoi bambini”. Lo stesso politico ha poi toccato il tasto della religione:
“Quando dite a qualcuno che è troppo cattolico per stare sul banco (della corte), quando dite loro che diventeranno un giudice cattolico, non un giudice americano, quello è bigottismo”.
Il tema della religione è stato infatti uno dei punti più delicati di tutta la seduta, con i repubblicani che si aspettavano degli attacchi specifici in tal senso e i difensori della Coney Barrett impegnati a spiegare alla nazione che il suo essere cattolica praticante non le avrebbe impedito di operare con equità e senza preconcetti.
Il lato religioso della candidata però preoccupa i liberali e non poco. Amy Coney Barrett si presenta come pro-life (antiabortista) e si sprecano i dubbi su come lei possa influire sul destino della legislazione in fatto di diritto all’aborto, che ora si basa sul precedente costituito dalla sentenza Roe v. Wade del 1973.
Ad alcuni repubblicani conservatori, che ora sponsorizzano questa candidata, tale sentenza non piace affatto e se solo potessero la toglierebbero volentieri di mezzo. Un recente sondaggio però afferma che 6 elettori registrati su 10 sostengono la Roe v. Wade.
Il diritto all’aborto, al decidere per il proprio corpo, non è però l’unico che i democratici percepiscono stare in piena corrente d’aria, esistono infatti altri punti delicati su cui una Corte Suprema a stragrande maggioranza conservatrice potrebbe essere tentata di intervenire. Fra questi il diritto a sposare chi si vuole, dunque le unioni fra persone dello stesso sesso, oppure i diritti dei consumatori e persino il diritto al voto.
Ma quella che per i senatori più liberali è una seria minaccia per qualcun altro è una magnifica opportunità, di far entrare finalmente nella Corte Suprema qualcuno che non viene dalla costa Est e non sia laureato da Harvard. Il senatore Mike Braun dell’Indiana ad esempio si felicita per questa occasione, di portare un po’ di profumo di Midwest alla più alta corte. A sentire lui ci vorrebbero più giudici in grado di interpretare il pensiero e accogliere le istanze di quella parte dell’America.
Nell’ambito del primo giorno di audizione al Senato le due parti hanno trovato però anche il modo di confrontarsi sugli aspetti procedurali e sull’opportunità o meno di organizzare questa corsa alla Corte Suprema, in un momento così difficile della storia americana in cui la maggior preoccupazione dei legislatori dovrebbe essere rivolta al Covid e alla crisi economica. E con questo tema si entra nell’ambito della strategia dei democratici che in questa giornata, attraverso le loro senatrici, hanno voluto dare una connotazione anche cromatica alla loro posizione. Tutte le senatrici Dem infatti si sono volute presentare vestite di blu, il colore del loro partito e anche quello preferito dal giudice Ruth Bader Ginsburg che ha lasciato l’America troppo presto.
Centravanti per la squadra dei democratici è stata Kamala Harris il cui intervento per la maggior parte si è incentrato nel mettere sotto gli occhi di tutti l’insensatezza del voler investire, proprio ora, del tempo nell’audizione e poi investitura di un nuovo giudice della Supreme Court, quando invece l’unica cosa che il Senato dovrebbe fare assieme alla Camera è partorire un nuovo pacchetto di stimoli economici. Quello precedente è infatti scaduto a luglio e da allora sia i singoli cittadini rimasti senza lavoro che le città e gli stati a corto di fondi stanno attendendo con ansia delle nuove azioni da parte del governo e del paramento. Tanto per la Harris quanto per il senatore Dem Cory Booker non è normale occuparsi di poltrone supreme piuttosto che badare a ciò che urge veramente e di cui hanno bisogno i cittadini.
A questa considerazione democratica se ne aggiunge poi un’altra legata al 360° che i repubblicani son stati capaci di fare e di come si siano arrampicati sugli specchi per giustificare la fretta di riportare la Corte Suprema a nove membri in un anno elettorale.
Fra tutti i repubblicani quelli che hanno fatto una figura peggiore sono stati il capo della maggioranza al Senato Mitch McConnell e il senatore Lindsey Graham, che ha presieduto la prima audizione della Coney Barrett. Entrambi, quattro anni fa, avevano dichiarato che non si devono decidere nuovi giudici della Corte Suprema in un anno di elezioni e con il presidente a fine mandato. Oggi però questi hanno cambiato idea. Ora che il Senato e la Casa bianca sono entrambi delle stesso colore politico la regola del fine mandato e del dare agli elettori la possibilità di farsi sentire non importa più a nessuno.
E tanto su questo punto quanto sull’accusa di incostituzionalità lanciata dai Dem verso gli avversari si è tornato parecchio, con gli uni che gridavano allo scandalo e gli altri che minimizzavano e rassicuravano. Tutto ok, la procedura è corretta e svolta nel giusti tempi.
Detto ciò, il focus si è poi spostato sul fatto che non sta bene eleggere un giudice con i soli voti della maggioranza. Così il democratico Durbin ha ricordato come il giudice Antonin Scalia fosse stato eletto con 98 voti e la Bader Ginsburg con 93 favorevoli. Ma a questo tipo di preoccupazioni ha poi risposto il senatore repubblicano Lee che raccontando come la Corte Suprema sia un luogo in cui si cerca sempre un comunque l’accordo e che sono poche le sentenze che non firmate da 9 giudici su 9, o 8 a 1, 7 a 2. La Corte Suprema interviene in ultima istanza e solo quando è evidente che nelle corti inferiori non c’è modo di trovare un accordo. Ed essendo piuttosto importanti le questioni che giungo fino a questo tribunale è d’obbligo lavorare per una soluzione quanto più condivisa. Poi, sempre su questo tema, è intervenuto pure il senatore Sasse (Rep) ragionando sul numero dei giudici di questa corte. Sebbene la Costituzione non specifichi con esattezza quanti essi debbano essere, molti scoraggiano i Dem dal provare ad attuare il “court packing”, cioè l’aggiunta di altri giudici nominati dal Partito Democratico nel caso vincano sia la Casa Bianca che il Senato americano. Questa pratica, possibile in teoria ma difficile nella pratica, farebbe sembrare la Corte Suprema come una nuova camera in cui forgiare leggi, ma questo sarebbe sbagliato perché per quella funzione esistono già la House of Representatives e il Senato.
Ovviamente questi argomenti non hanno avuto troppa presa sull’altra parte del Senato dove, per esempio, la democratica Klobuchar ha consigliato alla candidata di ritirarsi e non prestarsi a questa operazione, questa messa in scena orchestrata dai repubblicani e da Trump per i loro fini, tutt’altro che nobili o etici.
Ma questo fronte di discussione non è stato l’unico esplorato dai democratici. In realtà la loro strategia principale è stata quella di comunicare una spasmodica preoccupazione per l’eventuale cancellazione dell’Obama Care, ovvero l’Affordable Care Act. Questa legge è quella ideata e votata ai tempi della presidenza Obama per aiutare gli americani con poco reddito a trovare un’assicurazione sulla salute che sia decente, oppure avere accesso alle giuste cure anche se costose.
Ai democratici è piaciuto ricordare, a favore di telecamere, come Amy Coney Barrett abbia criticato il giudice capo della Corte Suprema, John Robers, per esser sceso a patti con i colleghi più liberali proprio quando si è trattato di discutere sulla sanità. Questo per i Dem è un chiaro segno di dove può andare a finire la barca.
Così, per cercare di evitare il peggio e spiegare l’importanza dell’Obama Care, tutti i senatori e le senatrici del Partito Democratico si sono presentati in aula, o in collegamento, con degli enormi ritratti e hanno iniziato a raccontare una o più storie ciascuno. Quelli erano i volti e i racconti della sofferenza, delle peripezie vissute da alcuni malati cronici americani che hanno potuto salvarsi sono grazie all’Affordable Care Act e che potranno continuare a vivere solo che ci sarà un sistema sanitario in grado di supportarli.
A una candidata giudice che si è presentata in Senato con sette figli al seguito, mostrandosi alla nazione come una buona madre americana, hanno mostrato le foto e raccontato le sofferenze dei bambini degli altri, delle famiglie che non ce la fanno a curarsi a meno che non le si aiuti. Coloro per cui l’Obama Care è l’unica chance per poter continuare a vivere.
Essendo Amy Coney Barrett una giurista pro-life ci si può solo augurare che capisca e accolga al volo un messaggio così importante, soprattutto in un tempo di crisi e di emergenza sanitaria come l’attuale.
Fonte: ABC, Reuters 12/10/2020
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