Pubblicato il 21 Luglio 2020
La giudice per le indagini preliminari di Messina, Simona Finocchiaro, archivia la nuova inchiesta sull’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Emergono inoltre perplessità sulla recente relazione della Commissione antimafia regionale. Da qui la replica di Claudio Fava, presidente della Commissione all’Ars (Assemblea Regionale Siciliana): «Proprio il giorno della mia audizione a Roma (davanti alla Commissione nazionale antimafia, N.d.R.) la procura di Messina fa sapere, e il Gip ribadisce, che non ci si sposta di una virgola dalle precedenti conclusioni. Il supplemento di indagine compiuto in questi mesi consisterebbe nella lettura della nostra relazione e delle relative audizioni. Punto».
Continua Fava: «Resto allibito della leggerezza e dalla gravità di ciò che scrive il Gip, accusando la Commissione antimafia di “elucubrazioni” e di “illazioni sul coinvolgimento di Antoci nel falso attentato”: se avesse letto la nostra relazione, il giudice avrebbe visto che scriviamo esattamente il contrario, indicando Antoci come vittima inconsapevole in ogni caso». La conclusione del presidente della Commissione è particolarmente polemica: «Comincio a credere, anche per la reazione provocatoria e scomposta di alcuni senatori oggi in antimafia nazionale, che abbiamo toccato fili scoperti. E in quella rigida chiesa in cui si è ormai trasformata l’antimafia in Italia, non cantare messa con gli altri ma proporre dubbi e formulare domande è un peccato imperdonabile».
La polemica
Scrive Claudio Fava sulla sua pagina Fb: «”Fava dimettiti!” mi urla oggi Antoci. “Lei è un presidente indegno!” sbraita il senatore Giarrusso. “Un mascariatore!” aggiunge la senatrice 5stelle. E potrei andare avanti. L’antimafia, in questo povero paese, è diventata una chiesa. E chi non canta messa e non onora i santi va scomunicato. Io messe non ne canto, non credo nei santi e non me ne vado. E a far domande (scomode), e a pretendere risposte (vere) non rinunzio. Finché avrò fiato. Lor signori se ne facciano una ragione».