Pubblicato il 10 Marzo 2025
Un’infanzia segnata dall’abbandono e dalla fame: la drammatica vicenda di un bambino di 10 anni
Per anni è stato costretto a rovistare nella spazzatura per poter mangiare, obbligato dai genitori a cercare il suo pasto tra i rifiuti con la minaccia di restare digiuno in caso di insuccesso. Questo l’inquietante scenario che ha portato alla condanna di un uomo di 47 anni e una donna di 33, accusati di maltrattamenti nei confronti del figlio.
La sentenza, emessa nei giorni scorsi, ha inflitto ai due imputati una pena di 2 anni e 3 mesi di reclusione.
Un’infanzia negata: la vita difficile di Luca
Come riportato dai colleghi de Il Corriere della Sera, il bambino è stato affidato ai servizi sociali nel 2018, ma il suo calvario era iniziato molto prima. Fin dalla tenera età, a soli due anni e due mesi, ha vissuto in condizioni di estremo degrado e privazioni, vagando per la città con i genitori.
Le indagini hanno ricostruito una routine disumana: quando i due adulti trovavano un cassonetto, lo costringevano a frugare tra i rifiuti alla ricerca di qualcosa da mangiare. La mancanza di igiene e la grave malnutrizione hanno reso ancora più precaria la sua situazione, esponendolo a malattie e isolamento sociale.
L’abbandono davanti al Municipio: il punto di non ritorno
Quando i genitori hanno scoperto che Luca soffriva di un ritardo cognitivo, la loro risposta è stata l’indifferenza, seguita dall’abbandono definitivo. Il 25 gennaio 2018, lo hanno lasciato davanti alla sede del I Municipio, affidandolo di fatto alle istituzioni.
Da allora, il bambino è stato preso in carico dai servizi sociali e ha iniziato un percorso di assistenza. Oggi, a dieci anni, è ancora seguito da operatori specializzati, che lo aiutano a superare i traumi del passato.
La difesa dei genitori: “Nessuna prova concreta”
Gli avvocati degli imputati hanno provato a smontare le accuse, sostenendo l’assenza di prove fotografiche o documentali che attestassero il bambino mentre cercava cibo tra i rifiuti.
“Le accuse sono gravi, ma non c’è alcuna prova diretta che confermi i fatti”, ha dichiarato l’avvocato Raffaella Monaldi, difensore dei genitori.
Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto sufficienti le testimonianze e gli elementi raccolti dalla Procura, confermando la condanna.