Il giudice Alexandre de Moraes sostiene che Bolsonaro potrebbe aver contribuito, “in modo molto rilevante” alle proteste estremiste.
Era lui l’uomo che avrebbe dovuto garantire la sicurezza nella capitale domenica scorsa, invece era volato «in vacanza» ad Orlando in Florida, vicino alla villa dove ancora si trova Bolsonaro, benché ufficialmente non fosse in ferie. Torres è stato subito arrestato dalla polizia federale.
Alexandre de Moraes ha affermato che la richiesta di interrogatorio di Bolsonaro sarà presa in considerazione in seguito, visto che l’ex presidente è ancora all’estero. Nella decisione scritta, il giudice sottolinea che «in conseguenza della condotta dell’ex Presidente della Repubblica, si osserva lo stesso modus operandi di divulgazione utilizzato dall’organizzazione criminale», già indagata in altre inchieste, “con intense reazioni attraverso reti virtuali, predicando discorsi di odio e contrarietà alle istituzioni , lo stato di diritto e la democrazia, circostanze che, in teoria, potrebbero aver contribuito, in modo molto rilevante, al verificarsi di atti criminali e terroristici come quelli avvenuti l’8 gennaio a Brasilia”.
L’avvocato di Jair Bolsonaro, Frederick Wassef, ha replicato negando qualsiasi relazione dell’ex presidente con gli eventi di domenica. “Bolsonaro rinnega con veemenza atti di vandalismo e depredazione di proprietà pubblica”, ha assicurato il legale, definendo le manifestazioni radicali come “movimenti sociali spontanei” e addossando la responsabilità degli atti vandalici a “infiltrati”.
La richiesta di messa sotto inchiesta era stata avanzata inizialmente da 80 magistrati al procuratore generale Augusto Aras, nominato due volte alla carica da Bolsonaro, e noto per la sua inerzia di fronte ad altri sospetti di irregolarità dell’ex presidente.
Nell’ultima settimana alle pressioni interne di altri procuratori ssi sono aggiunte quelle del governo, del Congresso e della Corte Suprema Federale. Alla fine, la richiesta al Tribunale supremo federale è stata firmata da un vice-procuratore.
Su Bolsonaro pesa anche l’ombra del documento “golpista” ritrovato in un armadio della casa di Torres e dalla possibile confessione del suo ex fedelissimo ministro della Giustizia. Si tratta della bozza di un decreto presidenziale che avrebbe annullato il risultato delle elezioni presidenziali vinte da Lula in autunno, esautorato il Tribunale supremo elettorale e istituito un comitato guidato dall’ex ministro della Difesa di Bolsonaro, un generale. Torres, poi nominato Segretario per la sicurezza del Distretto federale, da cui dipende la capitale, si è difeso via twitter sostenendo che era un documento da cestinare. In calce al decreto non c’era la firma di Bolsonaro ma secondo gli inquirenti l’esistenza di quelle tre pagine dimostra che il cerchio ristretto dell’ex presidente stava valutando metodi per sovvertire il risultato delle urne.
Torres, secondo le ultime ricostruzioni, sapeva cosa stava per accadere a Brasilia.
Due giorni prima degli attacchi, l’intelligence aveva inviato alla Segreteria per la sicurezza del distretto federale un rapporto che avvertiva dei piani dei manifestanti, incluso la possibilità di assalti.
Dal monitoraggio dei gruppi nelle applicazioni di messaggistica, il documento cita lo svolgimento di atti a Brasilia dal 6 all’8 gennaio, “con carovane provenienti da altri stati, in opposizione all’attuale governo federale”. Il documento descrive le manifestazioni come una “presa di potere”. Nonostante l’avvertimento, la Polizia Militare non ha inviato agenti in numero sufficiente per contenere l’azione criminale e ha consentito l’ingresso di manifestanti golpisti sull’Esplanada dos Ministérios.
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