Per Anna (nome di fantasia), la quotidianità tra i banchi di scuola e le strade del suo quartiere nella periferia sud di Roma si era trasformata in un inferno. Da quando aveva 13 anni, la ragazza — affetta da un lieve ritardo cognitivo che non le impedisce di condurre una vita normale — è stata oggetto continuo di vessazioni e insulti, portati avanti da tre coetanee: Maria, Giovanna e Teresa (anche questi nomi di fantasia).
Secondo le indagini, le tre imputate non si sono limitate a offendere verbalmente la loro vittima con frasi come “Perché vivi sulla Terra?” o “Sei così brutta che devi morire”. Avrebbero anche creato contenuti su TikTok, in cui deridevano persone con difficoltà cognitive, facendo riferimento esplicito a Anna. Inoltre, avrebbero aperto una chat dal nome “Scabbius”, nella quale si scambiavano messaggi con frasi come: “Ti diamo fuoco”, “Hai i pidocchi, hai la scabbia”.
Gli insulti e le aggressioni verbali — anche se le giovani non frequentavano la stessa classe — si sono susseguiti per anni tra i corridoi scolastici e le strade del quartiere. Anna, sopraffatta dal peso psicologico, aveva cominciato a isolarsi, frequentava la scuola sempre meno volentieri e tendeva a chiudersi nel silenzio. Le lacrime non erano sufficienti a placare le aggressioni: sembravano piuttosto esacerbarle.
Alla fine, Anna ha trovato la forza di raccontare tutto ai suoi genitori. Il padre e la madre hanno deciso di denunciare l’accaduto, dando il via a un procedimento penale che ha portato al rinvio a giudizio delle tre giovani con l’accusa di atti persecutori. Due di loro sono state ammesse alla messa alla prova e la terza dovrebbe seguire lo stesso percorso.
In aula, le tre ragazze hanno chiesto perdono a Anna. Ma la giustizia farà ora il suo corso. Il caso solleva ancora una volta il tema urgente del bullismo tra adolescenti, spesso veicolato anche attraverso i social media, e della necessità di un’educazione al rispetto e all’empatia fin dalle scuole primarie.
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