Così Roberto Calissano.
Dal suo curriculum riaffiorano storie giudiziarie risalenti ai primi anni 2000, così come la morte per droga dell’amica Ana Lucia Bandeira Bezzerra nel suo appartamento di Genova.
Un errore regolarmente pagato con un lungo periodo in comunità, ma divenuto una macchia in un ambiente, quello dello spettacolo, poco incline a tolleranza e comprensione. L’inchiesta, lunga e complicata, della Procura di Roma sulla morte dell’attore oggi si chiude con una richiesta di archiviazione. A parlarne al Corriere è il fratello 54enne, imprenditore, affiancato dal suo avvocato, la penalista genovese Santina Ierardi.
“Il pm che ha indagato per undici mesi sulla sua morte aveva disposto un esame tossicologico molto approfondito. La conclusione è stata che mio fratello non è morto a causa di stupefacenti, ma per un’intossicazione da farmaci antidepressivi. Quella sera Paolo accettò il rischio di morire, molto probabilmente. Mai avrei pensato di dirlo, ma credo sia andata così. Si è suicidato. È molto doloroso per me ammetterlo”, rivela.
“Si spiega per quale ragione un’indagine per omicidio colposo non ha raggiunto alcun punto fermo ed è avviata verso l’archiviazione. E se si fosse ipotizzata l’istigazione al suicidio?”, chiede il Corriere: “Quell’indagine ha fatto un pezzo di strada. Nel frattempo ne sono state aperte altre presso altre Procure. Ma, certo, se si fosse indagato sulle diverse possibili motivazioni relative alla morte e sul suo stato d’animo, forse, si sarebbe sciolto questo enigma – afferma – Ci siamo impegnati a non rivelarlo prima della conclusione, ma basti sapere che sono state ricostruite le difficoltà patrimoniali di Paolo”.
Il corpo dell’attore fu trovato dalla sua ex compagna Fabiola Palese, un’imprenditrice di Roma: “Fabiola fa parte dei nostri affetti, il suo dolore è stato fortissimo. Allora si disse perfino che Paolo fu ritrovato in stato di decomposizione. Oggi l’indagine ha chiarito che in realtà era morto da poco, nella notte fra il 29 e il 30 dicembre – racconta – L’abbandono è stata una fantasia di alcuni media. Non riusciva a lavorare. Aveva scritto tre sceneggiature. Le ho lette. Sono molto belle. Una era autobiografica, raccontava una storia in una comunità, La foresta dei pini d’argento. Mio fratello era capace, appassionato…”.
“I limiti di mio fratello? L’ingenuità, un eccesso di fiducia nel prossimo. Forse anche un po’ di permalosità. L’ultima volta che l’ho sentito era il 19 dicembre. Era giù. Non gli feci abbastanza domande, forse. Tutto rimase nella sfera del non detto – conclude il fratello di Paolo Calissano – Aspirava al diritto all’oblio. Invece i motori di ricerca continuavano a risputare fuori quell’episodio legato al consumo di stupefacenti. Non riusciva a liberarsene. Lavorare era diventato impossibile. Perciò almeno oggi, dopo la sua morte, vorrei che fosse fatta un’operazione verità nei suoi confronti”.
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