Caporalato tra San Felice Circeo, Terracina e Sabaudia: resi noti i nomi delle persone arrestate

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Manodopera sfruttata e uso di fitofarmaci non autorizzati, per questi motivi è finita nei guai un’azienda agricola pontina specializzata nella produzione di ravanelli da destinare anche al mercato internazionale.

A fare luce sulla vicenda una indagine della Procura di Latina e condotta dal Nas agli ordini del comandante Felice Egidio, con il supporto del Nil, il Nucleo ispettorato del lavoro dei Carabinieri guidato dal luogotenente Stefano Magrì, l’ispettorato territoriale del lavoro e la supervisione del Comando Gruppo carabinieri Tutela della Salute di Roma diretto dal tenente colonnello Walter Fava.

I provvedimenti sono scattati ieri mattina all’alba; sul campo oltre 60 militari, col supporto aereo, in elicottero, giunto dal Nucleo velivoli di Pratica di mare. In carcere sono finite sette persone tra San Felice Circeo, Terracina e Venezia. L’ordinanza, predisposta dal gip Giorgia Castriota, ipotizza i reati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro, estorsione e impiego illecito di fitofarmaci non autorizzati nelle coltivazioni in serra.

Per questi motivi, come riporta il quotidiano Latina Oggi, sono finiti Salvatore Fontanella, Pierluigi Fontanella e Alessia Fontanella, padre e due figli rispettivamente titolare e soci dell’azienda “Agri Fontanella” di San Felice Circeo, che produce ortofrutta su terreni che comprendono i comuni di Sabaudia e Terracina; oltre a loro, nei guai anche il genero del titolare, Angelino De Gasperis, dipendente dell’azienda; due bengalesi, Shafikul Islam e Farazi Dadon, perché accusati di essere i così detti sorveglianti oltre che intermediari tra la manodopera e l’azienda; infine un agronomo, Pierluigi Ragagnin, che avrebbe suggerito ai titolari dell’azienda come utilizzare i fitofarmaci non autorizzati.

L’azienda assumeva e impiegava manodopera di cittadini stranieri, “sottoponendoli a condizioni di sfruttamento – come si legge nella nota dei carabinieri – e approfittando del loro stato di bisogno e di vulnerabilità, costringendo i dipendenti a sottoscrivere la ricevuta della busta paga con l’omessa contabilizzazione delle ore effettivamente prestate, pena il mancato pagamento della retribuzione, remunerandoli sistematicamente con stipendi inferiori alle ore lavorate (o a cottimo), in violazione dei contratti collettivi del comparto. Inoltre i datori di lavoro impiegavano i lavoratori in costanza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, omettendo di fornire loro i previsti dispositivi di protezione individuale, l’abbigliamento e le scarpe idonee, costringendoli a operare in condizioni proibitive (per l’allagamento dei terreni a causa delle piogge)”.

A questa condotta va aggiunto che operavano una forma di controllo sul risultato del lavoro, con minaccia di sanzioni corporali ed economiche, fino alla prospettazione del licenziamento in caso di fallimento dell’obiettivo di raccolta.

“Neanche la scelta del trasporto era loro concessa – continuano i carabinieri – dato che agli operai veniva imposto di avvalersi del servizio di trasporto gestito da uno dei caporali previo compenso giornaliero di 6euro ciascuno, viaggiando in condizioni degradanti poiché costretti ad ammassarsi sul furgone Ducato in numero superiore ai posti omologati.

Spregiudicata, secondo gli inquirenti, era anche il metodo di coltivazione. Con l’ausilio di un agronomo, anch’egli tra i destinatari delle misure custodiali in carcere, la produzione agricola destinata al mercato locale, nazionale ed europeo, era incentrata su metodi irregolari, ricorrendo all’uso continuo e massivo di fitofarmaci non autorizzati sulle culture in serra, impiegando in tali compiti lavoratori non formati, non abilitati e privi dei previsti dotazioni di protezione individuale, esponendoli in tal modo anche a gravi situazioni di pericolo”.

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Lidano Orlandi

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