Pubblicato il 17 Febbraio 2022
Nel carcere di via Magli entravano droga, telefonini e schede telefoniche. Un complesso meccanismo di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere messo in piedi grazie alla complicità di un agente della polizia penitenziaria.
Nel carcere di via Magli entravano droga, telefonini e schede telefoniche. Un complesso meccanismo di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere messo in piedi grazie alla complicità di un agente della polizia penitenziaria. Registi delle operazioni sarebbero nomi di spicco della criminalità tarantina. L’organizzazione è stata smascherata e smantellata dal blitz compiuto dalla Polizia nella notte tra il 15 e il 16 febbraio.
TARANTO: DROGA, TELEFONI E SCHEDE SIM IN CARCERE, 9 ARRESTI
Nove le persone arrestate: 6 in carcere e 3 agli arresti domiciliari. Rispondono a vario titolo di illecita detenzione, introduzione e spaccio all’interno del carcere di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegali di armi comuni da sparo, corruzione e ricettazione. La custodia cautelare in carcere è scattata per Angelo Soloperto (56 anni), Francesco Soloperto (33), Sergio Soloperto (50), Cataldo La Neve (48), Andrea Gravina (41). Ai domiciliari sono finiti: Monica Carpignano (34 anni), Gaetano Galante (38), Benedetto Bonamico (51). Altri quindici soggetti sono indagati a piede libero. Il poliziotto coinvolto, Giuseppe Greco, 62 anni, assistente capo della Polizia Penitenziaria, era già stato arrestato in flagranza di reato il 29 gennaio del 2021.
In quella circostanza era emerso dalle indagini che il poliziotto penitenziario (definito dagli inquirenti un «cavallo di Troia») avrebbe ritirato dall’abitazione di un pluripregiudicato un pacco contenente una confezione di cioccolato in polvere ed una di crema, all’interno dei quali sarebbero stati nascosti «verosimilmente» telefoni cellulari e sostanze stupefacenti da introdurre all’interno del carcere. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, in quella occasione il poliziotto avrebbe ricevuto in cambio un compenso di 500 euro.
A descrivere l’operazione della notte scorsa sono stati il questore Massimo Gambino e il dirigente della Squadra Mobile, Fulvio Manco. «Si è trattato – ha spiegato il questore – di una attività investigativa complessa condotta con il supporto del Dipartimento Prevenzione Anticrimine della Puglia». Il questore ha sottolineato la collaborazione ricevuta dalla Polizia Penitenziaria nello smascherare il meccanismo che si era radicato all’interno della casa circondariale di via Magli.
«L’indagine, condotta con grande professionalità e in perfetta simbiosi con la Procura della Repubblica – ha affermato ancora il questore Gambino – ha preso avvio nell’agosto del 2020 quando, nel corso di un altro procedimento penale, si apprese che nel carcere venivano introdotti telefoni e droga. È importante arginare questi fenomeni proprio in un momento particolare come questo». I particolari dell’attività di indagine sono stati svelati dal dirigente della Squadra Mobile, Fulvio Manco: «La macchina organizzativa era molto ben strutturata: ognuno aveva un ruolo definito e a guidarla erano personaggi di elevato spessore criminale».
Ma come funzionava questo sistema che consentiva spaccio di droga tra i detenuti e l’introduzione di telefonini per consentire ai pregiudicati di comunicare con l’esterno? L’attività investigativa ha documentato almeno cinque consegne di pacchi. Gli ideatori del sistema, sempre secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, erano in grado, anche grazie all’uso dei telefoni che riuscivano a farsi consegnare illecitamente, di impartire precise disposizioni ad altri pregiudicati in libertà per la raccolta, il confezionamento e le modalità di consegna della droga e degli apparecchi cellulari. Gli stessi detenuti sarebbero stati in grado di individuare, sempre all’interno del carcere, gli acquirenti a cui cedere le sostanze stupefacenti, gli apparecchi telefonici e le schede telefoniche. In cambio ottenevano guadagni attraverso ricariche “Postepay”.
Nei “pacchi” consegnati in carcere, la droga (cocaina, marijuana, hashish, convenzionalmente chiamate “la verde”, “borotalco”, “fumo”, “panino”, “filone” “erba”), le schede telefoniche e i microtelefoni cellulari venivano occultati, come detto, all’interno di scatole di cioccolato in polvere, creme e pennarelli. Spesso le schede utilizzate dai detenuti erano intestate a soggetti stranieri, irreperibili sul territorio nazionale. A volte risultavano intestate a soggetti del tutto ignari che avevano sporto denuncia per sostituzione di persona.
Sempre secondo quanto emerso dalle indagini, il complesso sistema ruotava intorno a 7 pregiudicati: tre detenuti organizzavano la consegna di pacchi da destinare al carcere, impartendo ad altri 4 pregiudicati in libertà le direttive circa le modalità di confezionamento del pacco e la successiva consegna ad altro soggetto sottoposto alla misura alternativa alla detenzione in carcere, il quale a sua volta lo consegnava all’appartenente alla Polizia Penitenziaria che lo introduceva all’interno della Casa Circondariale e lo recapitava ai detenuti per il successivo smistamento in cambio di somme che variavano da 375 a 1000 euro per ciascuna consegna.
Ad alcuni dei destinatari dele misure cautelari è contestato anche il concorso nella detenzione e nel porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo calibro 22 marca “Bruni” nonché la detenzione illegale di svariate armi da sparo.