Pubblicato il 13 Luglio 2023
Per i giudici che lo hanno condannato a 30 anni anziché all’ergastolo, così come chiedevano pm e parti civili, il bancario e food blogger Davide Fontana uccise l’attrice Carol Maltesi perché la 26enne “si stava allontanando da lui, scaricandolo” per trasferirsi dal figlioletto di 6 anni a Verona.
Riconosciuto dai periti sano di mente, secondo il Tribunale di Busto Arsizio l’insospettabile 44enne non ha agito con crudeltà né con premeditazione quando l’11 gennaio 2022, durante le riprese di un film hard nella sua casa di Rescaldina vicino Legnano, massacrò Carol colpendola a martellate e sgozzandola per poi sezionarne il cadavere, nasconderlo per settimane in un freezer ordinato su Amazon, tentare invano di bruciarne i poveri resti con un barbecue e infine gettandoli da un burrone nel Bresciano, dove furono casualmente visti da un passante a fine marzo, ricostruisce il Corriere.
Per quasi tre mesi Fontana, dopo aver tolto la vita alla giovane mamma, nascose al mondo il crudele delitto spacciandosi per la vittima sui social e al telefonino di Carol, rassicurando amici e parenti via sms e Whatsapp che stava bene, che era in viaggio per lavoro a Dubai, che presto sarebbe rientrata in Italia: un barbaro femminicidio a cui il 44enne fece seguire un’atroce messinscena, eppure secondo i giudici l’insospettabile vicino di casa avrebbe agito per ragioni che “in senso giuridico” non sarebbero state abiette né futili.
Anche per l’ex compagno di Carol il mancato ergastolo a Fontana risultava sorretto da “incomprensibili ragioni”: motivazioni, quelle appena depositate dalla Corte, che potrebbero far discutere.
A cominciare dal movente: secondo i giudici, Fontana avrebbe ucciso Carol perché “si rese conto che ormai, dopo averlo in qualche misura usato, Maltesi si stava allontanando da lui, scaricandolo”.
Per il Tribunale di Busto Arsizio, “l’idea di perdere i contatti stabili con colei che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente, da cui sostanzialmente dipendeva poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile”.
A parere della Corte d’assise presieduta dal giudice Giuseppe Fazio, Fontana “si è reso conto che la giovane e disinibita Carol si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato, e ciò ha scatenato l’azione omicida. A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte”.
Un movente che “non può essere considerato abietto o futile in senso tecnico-giuridico” scrivono i giudici, escludendo anche la premeditazione: il femminicidio potrebbe essere stato frutto di una decisione maturata lentamente, in ogni caso “fu conseguenza di condotta voluta dall’imputato sorretta da dolo diretto se non da dolo intenzionale, ma non fu conseguenza di premeditazione”.
“La causa scatenante non è da ritenersi turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca a un delitto cruento, poiché non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato o un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale”. Quanto all’averne orribilmente smembrato in 18 parti il povero corpo dopo averla uccisa, i giudici della corte d’assise (a latere del presidente Fazio, la collega Rossella Ferrazzi e i popolari) sostengono che “non si può fare il grave errore di desumere la crudeltà nel realizzare l’omicidio dalla raccapricciante, orripilante condotta successiva e in particolare dall’agghiacciante gestione del cadavere e dello spaventoso scempio fattone, che tanto orrore ha suscitato nell’opinione pubblica”.
Fontana, una volta “compiuto l’omicidio, voleva liberarsi del cadavere definitivamente, definitivamente distruggendolo. Intanto cercava di nascondere in altro modo il decesso di Carol continuando a usare il suo smartphone e i suoi profili social. Tali condotte assorbono l’abbandono dei resti nella scarpata, perché voleva liberarsene e impedirne il ritrovamento”.