A un anno dal 29 maggio 2023, dall’elezione a sindaco, Enrico Trantino affida ai social la sua riflessione di questi 365 giorni di impegno come primo cittadino. Nel suo lungo post, vale la pena di sottolineare, secondo me, un paio di passaggi che andrebbero – per così dire – ‘riempiti di contenuti’, approfonditi. E, che cosa deve fare un giornalista se non le domande? E allora: prima questione: Sindaco, lei scrive che “la più grande sciagura per la città è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare”. Ma cosa potremmo essere, che città immagina di restituire ai catanesi se riuscisse a concludere il suo mandato?
Secondo: Di quale Catania parliamo, perché la città sembra smembrata rispetto alle periferie: qual è il suo progetto per unire i catanesi in un unico corpo?
Terzo: Lei cita, tra le questioni più anguste, ‘sporcizia e degrado’ ma c’è una terza emergenza che è quella della violenza crescente, della criminalità e dello spaccio di droga dilagante in alcune zone della città. Come si risolve la questione sicurezza e legalità?
Quarta domanda: Nella sua agenda, quali sono i suoi tre prossimi obiettivi che vuole assolutamente raggiungere.
Ultima cosa: Convinca un giovane laureato, magari brillante, un cervello – come si usa dire – a restare a Catania. Perché, se i migliori continuano a ‘scappare’, qui chi resta? In attesa delle sue risposte, le auguro, buon lavoro, dato che, e qui concordo con lei – fare il sindaco di Catania è un “pesantissimo fardello”. Gennaro Giacobbe
“È passato un anno. Il 29 maggio 2023 sono stato eletto Sindaco di Catania.
Per chi crede che la politica sia lo strumento per soddisfare i propri obiettivi, sarebbe stato l’inizio di un percorso di crescita personale, nell’indifferenza ai bisogni della città. Per chi invece ha deciso di mettersi al servizio della funzione e dei Catanesi, si è trattato di prendersi carico di un pesantissimo fardello, reso ancora più gravoso dalle aspettative maturate sulla mia persona. Non ho mai considerato l’essere Sindaco una carica di cui fregiarsi; semmai di un incarico che mi desse l’opportunità di prendermi cura di Catania: una città meravigliosa, con strepitose potenzialità di crescita, abitata da una moltitudine di cittadini spesso demotivati, se non rassegnati, che rivendicano l’orgoglio della propria identità solo per Sant’Agata o allo stadio.
Questo sentimento di distacco, indolenza, rifiuto di senso civico giunge da lontano. Ma senza volere approfondire le cause, ho cercato fin dall’inizio di ridurre le distanze tra cittadini e istituzione. Le molte scelte compiute, e che caratterizzano il modo in cui con la mia squadra interpretiamo il mandato, rispondono all’esigenza di farci percepire individui come altri. Rinunciare alla macchina di servizio, alla tutela, a salire sulla Carrozza del Senato, fare tante cose che non comunichiamo perché appartengono al nostro modo d’essere e non devono diventare occasione per esibirci, spero abbiano trasmesso il messaggio che il nostro Arcivescovo, citando don Tonino Bello, ha mirabilmente sintetizzato nell’espressione “rinuncia ai segni del potere, per affermare il potere dei segni”.
Non ricorderò le tante cose che abbiamo consegnato alla città; né indugerò in annunci sui prossimi obiettivi, sebbene tantissimo stia lievitando (e qualcosa comunicheremo nei prossimi giorni). Mi concentro, piuttosto, sulle tante cose che non vanno, sui ritardi nelle iniziative pianificate e sulle risposte che non potremo mai dare, se non stipuleremo insieme un patto di collaborazione. Le questioni più anguste, degrado e sporcizia innanzi tutto, non le potremo mai risolvere da soli. Inutile pensare a telecamere, dispiegamento di uomini e mezzi, rimedi repressivi: solo una fiero senso di appartenenza a una comunità, che vuole costruire una città in cui i nostri figli siano orgogliosi di vivere e investire, potrà costituire la svolta. Per questo vado in tutte le scuole e avverto una sensazione di fiducia grazie al lavoro che stanno compiendo i nostri meravigliosi insegnanti: da loro, e dai nostri ragazzi, parte la riscossa; ma ci vorranno anni, e non possiamo correre il rischio che trovino macerie.
La più grande sciagura a Catania è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare. Abbiamo così provato a trasmettere che solo un lavoro di squadra, in cui la gente percepisca l’importanza di fare la propria parte, è l’unico ingrediente per vincere la sfida.
Amministrare un Comune, specie con le difficoltà finanziarie del nostro, significa guadagnare nove problemi per ognuno che risolvi. Sapevo che sarei stato proiettato in una dimensione surreale in cui, quel che in una casa componi in un attimo, ha bisogno di passaggi, timbri e confronti infiniti. Ma non pensavo sarei stato così travolto, al punto da stare sveglio notti intere per comprendere se i tanti problemi che non riusciamo a risolvere li abbiamo esaminati da ogni angolazione.
Se avremo la possibilità di amministrare fino al termine del mandato, consegneremo una città migliore, con una condizione di crescita economica e sociale; pur sapendo che tanti problemi non li potremo risolvere. Ma sono pronto in qualunque momento a farmi da parte, se qualcuno mi dimostra che quel che non va dipende da mia incapacità, e che al posto mio riuscirebbe a raddrizzare quel che non ci piace. Con i colleghi di Giunta siamo animati dalla garanzia che stiamo compiendo il nostro dovere; ma saremmo superbi se pensassimo di essere i più bravi. Di sicuro, come spesso affermo, si possono trovare tantissimi migliori di me, ma – mi sia consentito – non uno solo che riesca a metterci più passione e amore di quanto io non stia facendo.
Ho letto che il pessimista si lamenta del vento. L’ottimista aspetta che cessi. Il realista issa le vele e lo sfrutta per arrivare al traguardo. Catania ha resistito a ogni calamità. Non saranno quei pochi o tanti che credono in un destino di irremovibilità a fermare chi ama questa città. E con chi la pensa allo stesso modo, faremo di tutto per sconfiggere quel destino”.
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