L’ultimatum di chi lo aveva rapito finiva alle 8 del mattino del 22 febbraio, Vitale è morto alle 11. Forse è caduto, forse qualcuno lo ha gettato di sotto. La famiglia ha riferito di almeno 500mila euro che l’uomo doveva a un gruppo di trafficanti e per questo caso, i carabinieri hanno già arrestato e portato in carcere due uomini: si tratta di Sergio Placidi, 48 anni di mestiere buttafuori nelle discoteche noto come Sergione, e Daniele Fabrizi, trentasettenne noto come Saccottino. Per entrambi l’accusa è grave, sequestro di persona a scopo di estorsione con l’aggravante del decesso della vittima.
La vicenda, però, non è finita qui. Gli investigatori del nucleo operativo dell’Arma, coordinati dai pm antimafia Francesco Cascini e Francesco Minisci, hanno capito che dietro quella morte violenta c’è un grosso giro di soldi e droga. Affari che partono da lontano, da anni prima e che hanno trovato il loro nefasto epilogo alla Magliana. Il giorno prima di morire, Vitale era venuto da Bari insieme alla sua fidanzata per incontrare i suoi creditori. L’appuntamento però si è trasformato in un sequestro, una trappola.
Salito a bordo del T Max guidato da Sergione, è stato portato all’appartamento di via Pescaglia 40. Vitale è stato picchiato e torturato. A Ciccio Barbuto sarebbe stata concessa un’ultima chiamata con l’obiettivo, forse, di metterlo ancora di più sotto pressione.
Al telefono Vitale avrebbe chiesto alla donna di salutare il figlio per lui. Un addio. Forse è volato dalla finestra per cercare una via di fuga. Fatto sta che perderlo di vista per Sergione e Saccottino è stato un errore imperdonabile per il gruppo della Magliana. È costato la vita a Ciccio Barbuto, ma non solo. Con Vitale morto i due – e chi faceva parte del loro gruppo della Magliana – hanno perso mezzo milione di euro. Ma con chi aveva quel debito Vitale?
Secondo gli investigatori il gruppo di Sergione e Saccottino era “solamente” – per così dire – il braccio armato. Forse quella riscossione l’avrebbero ricevuta in appalto, un lavoro svolto per conto di altri dal quale avrebbero tratto un cospicuo incasso e, soprattutto, acquisito un grande prestigio criminale.
Perché i nomi che gravitano dietro a questa vicenda sono altisonanti. Volti noti per chi è nell’ambiente della droga, quella di alto livello, di Roma. Gli intrecci di Ciccio Barbuto con i “vip” dello spaccio della Capitale nascono da lontano. Già nell’operazione denominata Box il suo cognome circolava. All’epoca non finì né indagato e né arrestato, eppure i carabinieri – secondo quanto si apprende – su di lui fecero più di un riscontro investigativo trovandolo con droga, in diverse occasioni.
In quell’ordinanza furono ricostruiti i viaggi dei corrieri, come quello fatto da Brindisi a Roma in non più di quattro ore e mezza, senza soste agli autogrill per evitare controlli. Tra i personaggi coinvolti anche Alessandro Corvesi e Daniele Carlomosti. Il primo, un ex calciatore amico di Elvis Demce, il protagonista più cruento della Gomorra albanese raccontata dalle indagini e noto negli ambienti perché si faceva chiamare “Dio”. L’altro, Carlomosti, il Bestione “ideatore” del gruppo di La Rustica che torturava chi non pagava. Possibile che in quegli anni – tra il 2019 e il 2021 – Vitale abbia stretto rapporti con loro o con personaggi di elevata caratura criminale di Roma?
Chi indaga non lo esclude. La rete di contatti è infinita, basti pensare che Corvesi e Demce – per esempio – avevano rapporti e affari anche con Fabrizio Piscitelli detto Diabolik e che l’albanese, da amico di Diablo, dopo la sua morte puntava a ereditarne l’impero.
Uno che, negli anni, è diventato un signore della droga. Insomma, non è escluso che Vitale avesse un debito con Demce – o con un altro pezzo grosso – e che quella riscossione sia stata appaltata. Demce, così come altri capi, infatti negli ultimi anni è stato arrestato, depotenziato e i suoi affari – e riscossioni – potrebbero essere passate di mano. Ipotesi, al momento, sul quale chi indaga sta lavorando.
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