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Clarissa Burt

Clarissa Burt e l’amore per Massimo Troisi: “Lo adoravo, ma si sta in due, non in duecento”

Pubblicato il 10 Dicembre 2022

“Ci siamo conosciuti nel 1988, a cena da amici, era inverno, io mi lamentavo per il riscaldamento ma avevo in casa un camino. Massimo il giorno dopo mi mandò un furgoncino pieno di legna con un bigliettino: per tenerti al caldo”.

Così Clarissa Burt.

L’attrice ed ex modella, che oggi ha 63 anni, ricorda Massimo Troisi, scomparso nel 1994, nel documentario di Alessandro Bencivenga, da giovedì nelle sale.

Clarissa Burt

“Per il problema al cuore prendeva medicine in maniera disciplinata, sembrava che tutto si potesse gestire”.

Un amore lungo tre anni nella vita di Massimo Troisi. Ne parla al Corriere col suo fare gentile che la contraddistingue.

“Era dolce, carino, affettuoso. Mi colpivano la sua gentilezza e la sua calma. Nei tre anni in cui siamo stati insieme non l’ho mai visto giocare né a carte né a biliardo. Massimo si svegliava tardi, poi andava nello studio a scrivere progetti. Erano usciti i computer e i primi rudimentali cellulari. Era affascinato dalla tecnologia. Se rivedeva mai i suoi film? No, mai”, racconta.

“Ci ho messo un po’ a capirlo quando recitava in napoletano, ho dovuto imparare. Massimo mi traduceva anche le canzoni, per esempio Malafemmena”.

“Sì, la canzone è evocativa – rivela – ci lasciammo perché quando si sta insieme si sta in due e non in duecento. Ci lasciammo per questo. Lo stesso motivo per cui è finita la mia relazione con Francesco Nuti, nonostante fossi una donna tanto desiderata anche da lui. No, non me lo spiego, dovrebbero farsi qualche domanda gli uomini. Parlo di tutti gli uomini sulla faccia della Terra, non solo di quelli italiani».


“Quella di Massimo era una napoletanità originale, mai scontata. Sì, un tocco di pigrizia c’era in lui. Facevamo vita di casa, gli habitué erano l’attore Massimo Bonetti e l’autore televisivo Giovanni Benincasa. Io preparavo le torte, poi era il periodo che facevo tv nel programma di Raffaella Carrà. Ma uscivamo anche. Ricordo quando vinse lo scudetto il Napoli: andammo a festeggiare in barca con tutta la squadra, Maradona conosceva i film di Massimo”, racconta ancora.

“Lo accompagnai al Festival di Venezia quando vinse la Coppa Volpi per Che ora è di Ettore Scola. Ci chiamarono dal festival chiedendoci di non partire. Risposi io, cominciai a saltellare sul letto, allora hai vinto! E Massimo, non dire così, per carità, mi hanno solo chiesto di restare… Era superstizioso. Adoravo la sua semplicità, se penso agli attori di oggi”.

“Sapevo che c’era quel problema al cuore, prendeva medicinali in maniera disciplinata, poi giocava a calcio, era una cosa che sembrava si potesse gestire, nessuno pensava che se ne sarebbe andato così presto, nemmeno lui”.

“Quando morì ero appena tornata in America. Ripresi l’aereo e andai al funerale. Ci ho messo dieci anni per vedere il suo ultimo film, Il postino“.

“Adesso ho un gruppo multimediale, si chiama Sotto i riflettori, ho una tv su una piattaforma, ci occupiamo di libri, di benessere, si insegna management. Ho una rivista digitale. Sono una imprenditrice. La mancata maternità? Ho otto nipoti che adoro”, conclude.