Pubblicato il 27 Agosto 2020
Nel mondo globale che corre lungo il filo invisibile, ma robustissimo, della rete l’offerta formativa tradizionale non poteva non andare in difficoltà: un argomento noto da tempo, diventato più attuale durante la pandemia che ha creato disagi enormi soprattutto nelle università di tutto il mondo. Google non si è fermata ed ha pensato di lanciare “Google career certificate”, che è un programma formativo innovativo in grado di trasferire ai partecipanti le competenze tecniche necessarie per affrontare con successo il mercato del lavoro. Così lo descrive la stessa Google nella pagina di riferimento: «Imparate le competenze necessarie per iniziare o far avanzare la vostra carriera in settori che hanno ampia domanda. Questi certificati, creati da Google, vi mettono in contatto con i migliori datori di lavoro nazionali che assumono per ruoli correlati».
Il programma partirà tra qualche giorno negli Stati Uniti, avrà un costo di circa trecento dollari e durerà sei mesi.
Sei mesi per conseguire la laurea? La risposta non può essere univoca, nel senso affermativo o negativo. Tuttavia l’ingresso diretto dell’azienda nel processo di formazione rappresenta un evento innovativo, che sta alimentando le correnti di opinioni negli Stati Uniti, con alcune università che esprimono scetticismo; altre che manifestano interesse verso l’idea e stanno elaborando i nuovi piani formativi per inserire alcune ore di lezione in collaborazione con Google, ritenendo fondamentale la sinergia tra le istituzioni pubbliche e gli imprenditori privati in un settore dove la formazione è legata al confronto con le aziende.
Lo studente potrà interagire da subito con il suo “futuro” datore di lavoro e potrà attingere le conoscenze in base alle reali esigenze manifestate dal settore nel quale ha scelto di formarsi.
Una informazione su misura, come un abito sartoriale cucito addosso alla persona.
Al momento non è dato sapere se quel modello possa mai essere esportato in Europa e in Italia, si presuppone di sì, e nessuno è in grado di comprendere con quale impatto. Potrebbe rappresentare uno sprono per le università tradizionali, ferme a modelli formativi ormai datati, lenti, poco efficaci e, soprattutto, molto costosi.
A causa della pandemia le università hanno accettato l’idea dello smart working, delle lezioni non in presenza e degli esami discussi in chat e su questo potrebbero riflettere intorno alla possibilità di rivedere il loro modo di formare i giovani. Ed è bene che lo facciano alla svelta.