Pubblicato il 29 Settembre 2023
Una ricerca condotta da ricercatori della New York University (NYU) Grossman School of Medicine in collaborazione con 25 ospedali principalmente britannici e statunitensi, poi pubblicata sulla rivista “Resuscitation”, ha consentito di comprendere come reagisce il cervello dopo un attacco cardiaco quando il cuore si ferma, o quanto meno di aver più informazioni al riguardo.
Molti sopravvissuti hanno descritto le loro esperienze “pre morte” dichiarando che, pur essendo apparentemente incoscienti, in parte percepivano cosa stesse accadendo.
Nel 40% dei pazienti è inoltre emerso che la loro attività cerebrale era tornata alla normalità fino anche ad un’ora dopo l’inizio della RCP, cioè della rianimazione cardiopolmonare per riportarli in vita dopo l’arresto cardiaco.
Pazienti “coscienti” durante l’arresto cardiaco: una maggiore percezione
I pazienti coinvolti hanno spiegato di aver avuto una maggiore consapevolezza di quanto succedeva nelle esperienze “pre morte”. In pratica percepivano la separazione dal corpo, ma gli eventi erano osservati senza dolore o angoscia e c’era una valutazione tangibile delle proprie azioni e relazioni.
A differenza di quanto si poteva ipotizzare, le esperienze “pre morte” non sono paragonabili quindi alle allucinazioni, ai deliri, alle illusioni, ai sogni e in generale allo stato di coscienza indotto dalla RCP.
Secondo gli autori dello studio il cervello ormai morente rimuove tutti i sistemi inibitori naturali, condizione che apre le porte ad affascinanti nuove dimensioni della realtà. Tra queste rientrano tutti i lucidi ricordi conservati dalla prima infanzia fino alla morte, in pratica come si suol dire “passa tutta la vita davanti” in pochi istanti.
Gli autori hanno spiegato che questa nuova scoperta “apre la porta a un’esplorazione sistematica di ciò che accade quando una persona muore”.
I commenti degli autori dello studio
Sam Parnia, MD, PhD, professore associato presso il Dipartimento di Medicina della NYU Langone Health e direttore della ricerca in terapia intensiva e rianimazione presso la NYU Langone, uno degli autori dello studio, ha commentato: “Sebbene i medici abbiano a lungo pensato che il cervello subisse danni permanenti per circa 10 minuti dopo che il cuore smette di fornirgli ossigeno, il nostro lavoro ha scoperto che il cervello può mostrare segni di recupero elettrico per molto tempo durante una RCP in corso.
Questo è il primo ampio studio a dimostrare che questi ricordi e cambiamenti delle onde cerebrali possono essere segni di elementi universali e condivisi delle cosiddette esperienze di pre-morte”.
Una scoperta importante che potrebbe consentire di sviluppare nuove procedure di intervento per avere maggior successo nel salvare le persone colpite da infarto: “Queste esperienze – ha proseguito – forniscono uno sguardo su una dimensione reale, ancora poco compresa, della coscienza umana che viene scoperta con la morte. I risultati potrebbero anche guidare la progettazione di nuovi modi per riavviare il cuore o prevenire lesioni cerebrali e avere implicazioni per i trapianti”.
Saranno comunque condotti altri studi per definire con più precisione i biomarcatori della coscienza clinica e per monitorare gli effetti psicologici della rianimazione dopo un arresto cardiaco sul lungo termine.