Il patto di non concorrenza è un accordo tra il datore di lavoro e il dipendente, che può essere inserito nel contratto a fini legali. Quando stipuliamo un contratto con un lavoratore, di qualunque grado esso sia, possiamo inserire una clausola di non concorrenza per far sì che egli non vada a lavorare per un’azienda competitor. Ma come funziona e cosa sancisce? Ecco una serie di dettagli da non sottovalutare.
Qualsiasi dipendente o dirigente, al momento dell’assunzione, può firmare un contratto che implichi il patto di non concorrenza rispetto all’azienda per cui lavora. Questa casistica, per esempio, va incontro a chi assume lavoratori part-time: nel resto della loro giornata lavorativa, non potranno prestare gli stessi servizi a un’azienda tua concorrente. La maggior parte di queste clausole però riguardano ciò che succede quando un dipendente o un dirigente viene licenziato. Possiamo far firmare loro un patto di non concorrenza in fase di assunzione, quando ottengono una promozione o anche poco prima di rescindere il contratto di lavoro. Per un numero limitato di anni, non potranno eseguire la stessa mansione presso aziende tue competitor nello stesso settore.
La durata massima di un patto di non concorrenza è di 5 anni per i dirigenti e di 3 anni per tutti gli altri dipendenti. Questo vuol dire che, dopo il licenziamento o la rescissione del contratto di lavoro, la persona in questione non potrà lavorare per un tuo concorrente, almeno non nella stessa mansione né nello stesso territorio. La clausola deve avere infatti anche dei confini territoriali, come stabilito dall’articolo 2125 del Codice Civile. L’obiettivo del patto di non concorrenza e dei suoi limiti è duplice: da un lato, protegge l’azienda; dall’altro permette comunque una ricollocazione del dipendente nel mondo del lavoro entro dei termini stabiliti.
Sì, è possibile ampliare le conseguenze effettive del patto di non concorrenza, per esempio chiedendo a un dirigente di non fare scouting all’interno dell’azienda per cui lavora. Così siamo ancora più tutelati dalla fuoriuscita di talenti dalla nostra azienda, perché il dirigente non potrà “portarli con sé” quando andrà via. Il patto può avere anche una durata inferiore o superiore ai termini stabiliti per legge, ma questa deve essere scritta nero su bianco nel contratto firmato, avere delle motivazioni valide e prevedere comunque una ricollocazione del lavoratore in tempi ragionevoli. Tutto ciò quindi va valutato da un professionista del diritto del lavoro, che saprà come compilare il patto di non concorrenza in modo da tutelare la nostra azienda senza ledere i diritti del lavoratore.
Che succede se uno dei nostri dipendenti, una volta licenziato, non rispetta il patto di non concorrenza stipulato? Si va in tribunale e, nella maggior parte dei casi, al lavoratore viene chiesto di pagare una somma come corrispettivo del danno causato all’azienda. Per evitare che una cosa del genere succeda, possiamo inserire già nel contratto una clausola penale per dissuadere il lavoratore dal compiere gesti dannosi per l’azienda. In ogni caso, se dirigente o dipendente violano il patto, anche qualora la clausola penale non fosse esplicitata in contratto, di solito il Giudice del Lavoro deciderà di far pagare loro una sanzione pecuniaria.
Un legale di fiducia, che sia interno o esterno alla tua azienda, può tutelarci con la creazione di patti di non concorrenza espliciti, chiari e a norma. Redigere questi documenti non è semplice, se non conosciamo a menadito tutti i cavilli legali: per questo consigliamo di avere l’aiuto di un esperto in fase di stesura del contratto. Va ricordato che il patto di non concorrenza può essere inserito nel contratto di assunzione o fatto firmare in seguito, durante il rapporto lavorativo o in occasione di una promozione. Così tuteliamo le nostre aziende dai competitor che vogliono sottrarci un talento, e allo stesso tempo rispettiamo i diritti del lavoratore.
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