Romano il nome che la sua mamma e il suo papà avevano scelto per lui. Loro però non ci saranno, stanno troppo male per essere presenti. Per tutti ci sarà nonna Tonina. A lei il compito di dirgli addio. Ha una sola richiesta: “Giustizia. Voglio sapere perché mio nipote è morto. Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi”.
Dopo due giorni di ricovero, mamma Rosa inizia il travaglio ma la dilatazione è insufficiente e l’induzione non ha gli effetti sperati. Del bimbo esce solo la testa ma non avviene l’espulsione, cosi viene portata d’urgenza in sala operatoria. I tentativi dei medici di salvare il piccolo non bastano e viene dichiarato morto. I familiari, difesi dagli avvocati Ivan Ierardi e Tiziano Saporito, hanno presentato denuncia e la Procura ha aperto un’inchiesta.
Nella dichiarazione che Silvano, marito di Rosa, rilascia ai carabinieri di Crotone c’è il racconto del loro calvario. Secondo quanto denunciato, il passaggio della donna dalla sala travaglio al blocco operatorio sarebbe anche avvenuto senza tutele. L’uomo dice di avere visto la barella della compagna, con la testa del bimbo visibile, fatta passare da un corridoio affollato. Il personale avrebbe usato “un ascensore a uso pubblico attraversando un’area di attesa non sanificata”.
“Mia nuora ha avuto una gravidanza tranquilla, senza problemi. Doveva tornare a casa con suo figlio tra le braccia e invece… Cosa le è rimasto?”, si chiede nonna Tonina. Di figli lei ne ha tre: due nati in ospedale e uno a casa e non ha dubbi: “I reparti di ginecologia devono essere luoghi di gioia, non di lacrime”. Si definisce una “combattente” e in nome di quel nipote tanto atteso e al quale è stata costretta a dire addio si dice “pronta a tutto. Ci sono tre famiglie distrutte: la mia, quella che mio figlio si è costruito e quella d’origine di mia nuora. Ma al posto nostro poteva esserci chiunque altro. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare”.
Quando Rosa è andata in ospedale, nonna Tonina è rimasta a casa con le nipotine. “Aspettavano il fratellino, come spieghiamo una cosa del genere? Sistemavano i vestitini, gli stessi che ora abbiamo fatto sparire”, dice Tonina.
“Mio figlio mi ha chiamato di notte per dirmi cosa era successo e all’alba sono andata in ospedale. Mio nipote era già nella cella frigorifera…”, racconta ancora. Nonna Tonina da allora non ha mai lasciato suo figlio e sua nuora. “Lei ricorda tutto, fino al momento in cui le hanno fatto l’anestesia in sala operatoria. Quando è stata addormentata – dice – era convinta che avrebbe conosciuto suo figlio e invece al risveglio, nella stanza di degenza, ha scoperto che era morto. Mia nuora ha chiesto più volte il cesareo, le è stato detto di no. Sono stati sgarbati, il personale litigava invece di pensare a lei”.
Nonna Tonina ripercorre le ore vissute dalla nuora e chiede di sapere cosa è successo in ospedale: “Ha sentito che avevano deciso di usare la ventosa, ma di questo non c’è traccia in cartella clinica. Ci dicano come sono andate le cose”. La ventosa ostetrica è uno strumento utilizzato quando i parti naturali non procedono come dovrebbero o se c’è sofferenza fetale, ma si tratta di una soluzione non di routine che ha precise indicazioni cosi come alcuni rischi.
Sul corpo di Romano è stata eseguita l’autopsia. Per la famiglia era presente un perito di parte: “Mio nipote era sanissimo, così ci ha detto. Pesava quasi quattro chili. Come possiamo rassegnarci a quello che è successo?”. Nonna Tonina ripete ancora una volta la parola: “giustizia”. La scandisce con rabbia: “Nulla mi ridarà mio nipote, nulla ridarà un figlio ai suoi genitori. Non cerchiamo soldi. La vita umana non ha un prezzo. Però vogliamo giustizia. Dovevamo gioire, non piangere. Nessun altro deve trovarsi nella nostra situazione”.
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