Pubblicato il 23 Luglio 2022
Così il gip di Milano, che ha convalidato il fermo e disposto la custodia in carcere per Alessia Pifferi, la 37enne che ha lasciato la figlia di 18 mesi a casa da sola per più di 6 giorni.
L’accusa è di omicidio volontario.
L’assassina si era assentata per andare a trovare il suo nuovo compagno, che non è il padre della piccola.
All’uomo aveva detto di aver affidato la bimba alla sorella.
Il pm ha descritto la donna come “capace di commettere qualunque atrocità pur di assecondare i propri bisogni personali, legati alla necessità di intrattenere, a qualunque costo, relazione sentimentali e amorose con gli uomini”.
Proprio negli attimi in cui la figlia moriva, la donna è stata vista a una sagra a Leffe, nella bergamasca, in compagnia dell’attuale compagno.
Dalle varie testimonianze raccolte nell’inchiesta della Squadra mobile emerge la descrizione di una persona che viveva raccontando tante “bugie”.
Così come quelle che Alessia Pifferi avrebbe detto al compagno, che ha raggiunto a Leffe nel giovedì sera della scorsa settiman lasciando la piccola nel lettino della casa di via Parea, quando gli ha spiegato che Diana era al mare con la sorella.
“Ero all’oscuro di tutto”, ha detto l’uomo, distrutto, davanti agli investigatori.
Chi li ha incontrati durante la sagra ha riferito che la donna appariva felice.
Dalle carte emerge che la mamma viveva la bimba come un “peso”, un “ostacolo” che le impediva di viversi la sua libertà.
Una situazione che preoccupava la nonna di Diana, “perché Alessia non si impegnava neanche a trovare un lavoro per il suo sostentamento”.
Anche agli inquirenti il mostro ha spiegato di essere “disoccupata”, ma indagando si è scoperto che aveva entrate con cui riusciva a mantenersi, e proprio su questo aspetto, con l’analisi di chat sequestrate nel suo telefono, la Procura sta facendo approfondimenti, a partire anche da quelle frequentazioni di uomini conosciuti sui social.
L’AGGHIACCIANTE RACCONTO
Ecco quel che la madre della piccola Diana ha detto durante l’interrogatorio:
“Dopo la discussione con il mio compagno, all’inizio lui ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa. Poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe, lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente”.
“A questo punto io avevo paura che la bambina potesse morire, ma dall’altra avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella, sia della reazione del mio compagno. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una prevalesse sull’altra”.
“A partire dalla domenica, quando cominciavano a passare più giorni del solito, ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse, ma comunque mi auguravo che non succedesse. Questo augurio nella mia mente un po’ era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero”.