Pubblicato il 4 Ottobre 2020
Uno dei suoi romanzi (Gli anni al contrario, Einaudi 2015) è stato inserito tra i 10 romanzi italiani più belli usciti nel decennio 2009-2019 (Repubblica). E ha vinto il Bagutta Opera Prima, il Premio Brancati, l’americano The Bridge Book Award. Un altro (Addio fantasmi, Einaudi 2018) è stato nella cinquina finale dello Strega, ha vinto il Subiaco Città del Libro,il Premio Alassio Centolibri, la “Città di Penne-Mosca-America”, il Martoglio. Ed è stato inserito tra i 10 libri più belli dell’anno (La Lettura, Corriere della Sera). Nadia Terranova è entrata – con i suoi nastri temporali “riavvolti” e i suoi spettri famigliari – nell’immaginario collettivo, alla maniera dei romanzieri del secolo del romanzo, che parlavano attraverso le proprie opere ma si facevano anche corpo dei propri assunti, pagandone talvolta prezzi inenarrabili.
Non è successo per caso. Nadia Terranova nel suo intimismo è più politica di tanta, anzi di tutta, la parola urlata, sottolineata, folklorizzata e per ciò stesso facilissima da dimenticare.
“A Messina c’è tutto. È tutto il resto che manca”
“A Messina c’è tutto. È tutto il resto che manca” è l’unico calembour a cui non rinuncia – lei che fa della densità asciutta delle storie argomentazione e narrazione di intere epoche, latitudini e generazioni, di quel dove-e-quando le hanno generate, di quel cosa-e-perché è stato da loro prodotto.
“Non sopporto di Messina il fatto che i messinesi la disprezzino. E non per campanilismo. Provo davvero tanta rabbia nel vedere la città così come è e nel sapere come invece potrebbe essere. Odio quando dicono che a Messina non c’è niente. In questo senso dico che a Messina c’è tutto ed è tutto il resto che manca”.
Il flusso di corresponsioni tra la scrittrice e la sua città natale
I romanzi di Terranova, d’altronde, segnano un ininterrotto flusso di corresponsioni con la sua città natale, che, come sottolinea lei con il piglio della cronista intenzionata a riaffermare i fatti, non ha mai lasciato.
“Vivo davvero tra Messina e Roma. Divido l’anno in due o più spezzoni. Una parte è sempre a Messina, dove ho casa e dove amo stare nelle stagioni definitivamente non turistiche, quelle che mi restituiscono, commuovendomi, immagini che mi appartengono, angoli, strade, palazzi, chiacchiere delle signore alle finestre, giochi dei bambini in piazza”.
È il suo quartiere – quartiere senza nome, frazione di una circoscrizione più ampia, ma che lei chiama “Castronovo”, dal nome della piazza che ne è il centro virtuale – a commuoverla, e, contemporaneamente, a farla sentire a casa. Uno spazio innervato da un reticolo di strade dedicate al mare e ai suoi miti, Colapesce, Fata Morgana, e definito da confini che sono la Porta Grazia in cima e la fontana del Nettuno a valle. Uno spazio, come sanno i messinesi, che mantiene, nonostante tutto, una sua autarchica identità.
Ma non è l’unico che Nadia Terranova rivendica a sé. Ci sono “angoli dietro piazza Duomo” – dice – che “sento come solo miei”. E ci sono, tra i luoghi del cuore, la “casa del puparo”, il Museo, il Porto… Tutti esempi non casuali. Tutti esempi politici, relativi cioè a fatti collettivi, scelte amministrative, gestione e disegno della città e della vita comunitaria.
La casa del puparo, il Museo, il Porto … tra ricordo e denuncia
Parlare della casa del puparo – cioè la casa-museo dell’artista naif Giovanni Cammarata, che l’ha difesa fino alla sua morte – significa parlare di Maregrosso, un litorale di straordinaria potenza e suggestione abbandonato al degrado e ai supermercati. Quel Maregrosso che sta al cuore di Addio fantasmi, pubblicato negli stessi mesi in cui se ne occupavano, pervicacemente, gli artisti e studiosi di Zonacammarata (di cui si parla in più articoli del nostro giornale, in particolare quello sull’inventore del Pensatoio, Vittorio Trimarchi, e quello sul critico e artista Mosé Previti, ndr).
Ricordare l’esistenza del Museo di Messina (ormai appellato MuMe in impervia assonanza con il MoMa di New York) implica ricordare la sua inesistenza nella percezione dei cittadini. “A Siracusa, ad Ortigia, attorno ad un Caravaggio hanno fatto turismo, impresa, immagine internazionale … noi ne abbiamo due, di Caravaggio, e non ce ne facciamo niente, non c’è nemmeno una navetta che porta al Museo…” dice Terranova ch’è legata particolarmente a “La resurrezione di Lazzaro”, ma, anche, alla Carrozza senatoria racchiusa sempre nel Museo e di fronte alla quale ha voluto concludere una delle interviste rilasciate alla Rai.
Sottolineare l’importanza del Porto significa sottolinearne l’inaccessibilità nel presente. “Quando andavo a scuola, nel pomeriggio spesso stavo sdraiata sulla banchina del porto, i piedi penzoloni sul mare”. Qualche decennio fa il Porto era passeggiata, bambini tenuti per mano e stupiti a guardare le navi, aria salmastra respirata a pieni polmoni, folate di vento improvvise. “Per quale bizzarra, incondivisibile idea di sicurezza si è rubato il porto alla città, si è staccata la città dal porto?” si chiede oggi Nadia Terranova.
“La cultura a Messina? Non c’è alcun tipo di valorizzazione”
E se dai luoghi e dai manufatti si passa alle parole, Messina non se avvantaggia. “Quanto siamo capaci, noi messinesi, di farci del male”, commenta la scrittrice prima di compilare – “con il terrore e la certezza di dimenticarne molti e importanti” – la sua personale galleria di intellettuali e artisti che tutti insieme e in costante incremento compongono quel “tessuto comune” di cui lei si sente una parte.
“Messina – sottolinea – ha una tradizione sconosciuta ai messinesi”. E “non c’è alcun tipo di valorizzazione dell’immenso potenziale culturale della città di Messina, una città che ha un’intellighenzia che spazia dalla letteratura al teatro, dal cinema alle arti performative alle arti visive e nella quale la cultura è ridotta a niente. Perché è sempre tempo di intervenire per risolvere qualche urgenza, è sempre tempo di fare qualcos’altro di più impellente. Ma a cos’altro ci si è dedicati a Messina, visto che la città affoga nei problemi, dal traffico ai rifiuti? Non è che non dedicarsi alla cultura consente di sciogliere altri nodi. Ed è normale che sia così. La cultura non sta da un’altra parte, è semplicemente il motore di funzionamento di una società. Non puoi eliminarla dall’equazione e uscirne indenne”.
Vorrei – chiosa – che questo si dicesse chiaro e forte: “non è possibile che gli spazi siano costantemente negati, che il teatro non sia utilizzato per come si potrebbe, che non si riesca a organizzare eventi di respiro nazionale e internazionale per mere questioni di budget … Tutto ciò ruba presente e, soprattutto, ruba futuro”.
Da Letteria Montoro a Jolanda Insana: una grande tradizione letteraria
La rimozione, poi, è ancora più pesante nei confronti delle donne. E giù con i nomi: Letteria Montoro, (1825-1893), poetessa, autrice del romanzo popolare “Maria Landini”, con una protagonista donna e ribelle tra impegno politico e ideali di libertà; Laura Gonzenbach (1842 – 1878), scrittrice che ha fatto per la Sicilia orientale quello che il Pitré ha fatto per la Sicilia occidentale; Maria Costa (1926 – 2016), poetessa, iscritta nel 2006 nel registro dei “Tesori Umani Viventi” del Patrimonio UNESCO; Jolanda Insana (1937 – 2016), poetessa, vincitrice del Premio Viareggio e del Premio Napoli, la cui opera omnia è stata pubblicata da Garzanti ne “Gli elefanti poesia”.
Non basta. Nei decenni della sua formazione, Nadia Terranova, che ha una zia, Marietta Salvo, anch’ella poetessa di valore, ha avuto al liceo La Farina il professore Giuseppe Cavarra, poeta egli stesso, che le ha indicato la via alla fascinazione per la lingua messinese (“nelle notazioni sui dialetti, il messinese fa parte a sé, perché, appunto, non è un dialetto ma una lingua vera e propria”), lingua – sottolinea la scrittrice – ch’è poetica nel suo stesso ritmo interno. Cavarra le ha anche instillato il concetto oggi a lei particolarmente caro della “strettesità”, dell’unicità– cioè – delle due sponde dello Stretto. Non per caso, quando cita il reggino Vincenzo Curatola, il professore universitario con cui ha scelto di laurearsi (tesi in estetica, laurea in filosofia) ne sottolinea, anche, la “strettesità”. Perché “Messina non si sa guardare se non si guarda – contemporaneamente e specularmente – con Reggio Calabria, con la quale forma l’area potente dello Stretto”.
I nomi del presente dal poeta Enrico De Lea alla scrittrice Alessia Gazzola
Oggi, per dirne una, Nadia è in contatto con Enrico De Lea, poeta messinese che vive a Milano. Di più. Con il regista Christian Bisceglia e il fumettista Lelio Bonaccorso Terranova ha una chat nella quale spesso si scambiano commenti e aggiornamenti sulla “loro” Messina. E ancora. “Ho avuto modo in questi anni di apprezzare in Mario Falcone (scrittore e sceneggiatore tra i più noti, sue le fiction Padre Pio, De Gasperi, Enzo Ferrari, La guerra è finita e Einstein, ndr) la capacità di cercarsi le storie dentro la nostra storia, in Guglielmo Pispisa la profondità chirurgica della prosa, in Alessia Gazzola (scrittrice bestseller con i libri de L’allieva da cui è tratta la serie omonima, ndr) la capacità di fare intrattenimento alto in grado di appassionare un’intera nazione”. E se di Alessia Gazzola Nadia Terranova è diventata “proprio amica”, con Lelio Bonaccorso cofirma (lei il testo, lui i fumetti) un libro per ora top secret in uscita a gennaio per Feltrinelli.
In pubblicazione un Aladino rivisitato e la biografia di Maria Zambrano
Né c’è solo questo all’orizzonte. Nadia Terranova sta lavorando ad un altro romanzo che riguarda sempre Messina (“ma ci vorrà ancora un po’ per finirlo”). In autunno sarà pubblicato da Orecchio Acerbo la sua rilettura di Aladino con le illustrazioni di Lorenzo Mattotti, forse l’illustratore italiano più famoso, mentre una piccola casa editrice siciliana, rueBallu, sta per dare alle stampe la sua biografia della filosofa Maria Zambrano (illustrata da Pia Valentinis) con la quale Terranova torna “per la prima volta” al suo primo amore, la filosofia.
E così come l’alternanza di romanzi per ragazzi e romanzi “adulti” è una caratteristica della sua produzione, anche l’alternanza di case editrici nazionali e di editori indipendenti è una cifra del suo modo di essere. “Si tratta – dice – di operare, ora che ho un nome da poter spendere, una restituzione ai piccoli editori che tanto hanno fatto e fanno per me, e che tanto curano i libri che pubblicano”.
“Le generazioni passate hanno creato barricate. A noi il compito di fare rete”
Un’altra di quelle scelte che la fanno recepire, oltre che come artista, come persona perbene. “Ho anch’io le mie bassezze, i momenti bui, le zone dolorose, ingovernabili, ma le metto nei libri, devono stare lì, dove sono sublimate. Non ci sarebbe letteratura se non ci fosse il male, ma nella vita cerco sempre di stare in rete, di non nuocere e di fare il bene, che è una cosa che proprio mi piace e mi dà energia”.
Ed è quasi un dovere storico. “Quando ho sentore di una scrittrice o uno scrittore messinese, di un artista o uno studioso messinese sono felice. Sono felice di seguirli, leggerli, recensirli, intervistarli …Le generazioni precedenti hanno creato barricate e operato scissioni. A me piacerebbe che noi ci dessimo una mano. Che trovassimo i tanti approcci nei quali possiamo convergere”.