Pubblicato il 27 Gennaio 2023
Fabio Savi, a capo della banda della Uno bianca che seminò terrore e morte tra gli anni ’80 e ’90 tra le Marche e l’Emilia-Romagna, ha chiesto il permesso per poter svolgere lavoro esterno al carcere.
La richiesta è però stata respinta dal tribunale di Sorveglianza di Milano e anche la Procura generale aveva chiesto di rigettare il ricorso del detenuto, in carcere dal 1994.
I giudici non hanno ritenuto valido il percorso compiuto fino a qui da Savi, anche in relazione ai danni nei confronti delle vittime e dei loro parenti.
Fabio Savi col fratello Roberto nello stesso carcere
Fabio Savi attualmente si trova detenuto nel carcere di Bollate insieme al fratello Roberto. I due sono stati i principali componenti della banda della Uno bianca, che tra il 1987 e il 1994 ha ucciso 23 persone ferendone più di 100.
Sembra che Fabio Savi non abbia mai usufruito di benefici, né tanto meno il fratello Roberto, poiché le loro richieste sono state sempre respinte. Diversa è invece la situazione del terzo fratello Savi, Alberto, detenuto in Veneto, che da qualche anno gode di permessi premio.
Le parole di un parente delle vittime: “Una vicenda ancora aperta, nessun perdono”
Sulla questione è intervenuto anche Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, giovane carabiniere ucciso insieme ai colleghi Otello Stefanini e Andrea Moneta il 4 gennaio 1991 al Pilastro di Bologna proprio dalla banda della Uno bianca.
“La vicenda è ancora aperta – tuona Mitilini – per poter parlare di sconti di pena e permessi”. Aggiunge che, da parte sua, la parola perdono non esiste: “Non c’è perdono per gli uomini della banda della Uno bianca che agirono con una ferocia ai limiti dell’umana pietà, macchiandosi di delitti che terrorizzarono una precisa zona del nostro Paese e sui quali gli inquirenti stanno ancora indagando, così come affermato dal procuratore Amato in relazione a due esposti”.