Pubblicato il 14 Settembre 2024
“Sono passato da essere Al Capone ad aver parcheggiato la macchina in divieto di sosta. La montagna delle accuse ha partorito un topolino”, Giovanni Toti non le manda a dire.
Il giorno dopo la richiesta di patteggiamento dei reati, l’ex presidente della Regione Liguria si sfoga con il Corriere.
“Fare un accordo non vuol dire necessariamente riconoscere le proprie colpe ma ritrovarsi a metà strada, anzi in questo caso molto oltre la metà. Le transazioni lasciano sempre l’amaro in bocca, vuol dire che da un lato non hai combattuto fino in fondo per rivendicare le tue ragioni ed essere totalmente scagionato, ma che dall’altro hai la soddisfazione di aver riconosciute molte delle tue ragioni”, spiega a proposito della richiesta che, se accettata, prevedrà lavori socialmente utili per 1.500 ore, l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e l’incapacità di contrattare con le pubbliche amministrazioni per la durata della pena, oltre alla confisca di 84.100 euro.
I reati patteggiati sono corruzione impropria e finanziamento illecito.
“Francamente, viste le prime conseguenze dell’inchiesta, e cioè i domiciliari di un governatore, le dimissioni, pensavo che i pm avessero la sensazione di una centrale di malaffare di vastissime proporzioni”, dice a proposito di quel come ha reagito quando i suoi legali gli hanno proposto il patteggiamento.
Patteggiamento che, prima di decidere, ha deciso “Con mia moglie, gli amici più stretti e le persone del cui giudizio mi fido, oltre che con i miei avvocati. Nessuno mi ha detto che sbagliavo”.
“Forse un Toti martire sarebbe stato più utile di un Toti che patteggia?”, chiede il Corriere.
“Non ho visto un lungo corteo accompagnarmi verso il Golgota. In tutta franchezza, girandosi con la croce sulle spalle, tranne qualche eccezione, dietro c’era un imbarazzante vuoto”, ha risposto Toti.
E sulla vicenda in genere: “Come abbiamo sempre sostenuto. Non ho mai attaccato i magistrati e non lo farò, ma secondo me hanno interpretato male ciò che avevano. Si può sbagliare, ma se la vita politica di una regione e la vita di tante persone possono essere devastate da qualcosa che poi produce un accordo su 1.500 ore di lavoro socialmente utile io penso che sia il legislatore a dover intervenire. Se mi avessero chiesto di farne tremila senza tutto questo, l’avrei fatto ben volentieri. È il Parlamento che, in un clima di estremo populismo, ha prodotto le leggi che hanno causato tutto questo. Se la politica non avrà il coraggio di cambiare alcune situazioni resterà sempre succube di se stessa, non delle Procure”.