Pubblicato il 19 Novembre 2024
“Giulio Regeni era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. L’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle”. E’ quel che rivela un cittadino palestinese che è stato nello stesso carcere egiziano dove è stato detenuto il ricercatore italiano.
Le affermazioni si ascoltano nel video del documentario in onda su Al Jazeera, che è stato fatto vedere oggi nel’aula dove è in corso il processo a carico di quattro 007 del Cairo per la morte dell’umanista.
“Ricordo una telefonata di mia madre, mi disse Hanno fatto tanto male a Giulio. La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale. Giulio era un ragazzo normalissimo, gli piaceva divertirsi era un esempio per me, il fratellone che dava consigli”, ha poi raccontato Irene Regeni, la sorella del ricercatore ucciso in Egitto nel 2016, sentita come testimone nel processo.
“Avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo tramite chat e tramite mail”, ha aggiunto.
“Giulio è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto. Era aperto a conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana: era entusiasta di andare lì, era contento per la ricerca sul campo”, ha concluso.