La figura dell’infermiere di famiglia è entrata nel dibattito con la pandemia, quando l’emergenza sanitaria ha messo in luce le criticità dell’assistenza territoriale e la necessità di nuove strutture e professionalità dedicate. Tra esse, l’infermiere di famiglia: la riforma della sanità territoriale ne prevede almeno 1 ogni 3.000 abitanti.
Secondo le linee di indirizzo, lavorerà a livello ambulatoriale, a livello domiciliare o, più in generale, nella comunità. Non sarà “solo un erogatore di assistenza sanitaria, ma anche potenziale attivatore di servizi assistenziali”, prosegue Agenas.
In questo ruolo si integrerà con “i professionisti presenti nella comunità (medici di medicina generale/pediatri di libera scelta, assistente sociale, professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, infermieri di assistenza domiciliare integrata)”, illustra il documento.
Il percorso formativo prevede il conseguimento di un master universitario di primo livello in Infermieristica di famiglia e di Comunità. Questo titolo sarà un requisito preferenziale per assumere questa posizione, ma potranno accedere a questo ruolo anche infermieri che operano già in ambito territoriale e abbiano maturato un’esperienza almeno biennale.
A oggi esistono già infermieri di famiglia inseriti nei servizi, ma il loro numero è esiguo: circa 1.380, secondo Agenas.
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