Giuseppe Russo è un influencer napoletano che sulla sua pagina Facebook parla un po’ di tutto: dai viaggi fino alla cucina. Il focus della sua pagina, che non a caso si chiama proprio “Il mio viaggio a Napoli”, è però rappresentato proprio dai viaggi.
Tuttavia il povero Giuseppe, suo malgrado, è stato protagonista di una brutta avventura in Messico a causa di uno dei più classici malintesi per omonimia.
Giuseppe Russo vanta oltre un milione di followers e si diletta a documentare i suoi viaggi che puntualmente condivide sul web.
Qualcosa però è andato storto nel suo ultimo viaggio in Messico e ha voluto condividere questa sua brutta esperienza: “Potrebbe capitare anche a voi, quindi voglio mettervi in guardia” – esordisce Giuseppe nel suo video su Facebook.
Tranquillizza tutti assicurando che sta bene: “Non è successo niente di grave, sto bene, è stato soltanto un brutto episodio che mi ha trattenuto in aeroporto due ore e mezzo”.
Giuseppe spiega poi cosa è successo entrando nei dettagli: “Dopo 11 ore di volo, stanco e solo con la voglia di raggiungere l’albergo e riposarmi, giunto al controllo passaporti il poliziotto comincia a sfogliare il mio documento e a fissarmi. Mi chiedo se ci fossero problemi. Poi mi chiede i motivi del viaggio e io rispondo ‘turismo’. Poi dice che serve un ulteriore controllo”.
La situazione ha iniziato poi a farsi preoccupante poiché, come ha spiegato l’influencer, è stato trasferito in un’area riservata dell’aeroporto e gli sono stati sequestrati cellulare e bagaglio a mano.
La preoccupazione è diventata poi paura, come racconta Giuseppe: “Mi lasciano in una stanzetta buia, solo, in attesa non so di cosa. Chiudono la porta a chiave, immaginate che paura, non ho fatto niente e non ho mai commesso reati. Busso alla porta, nessuna risposta. Non sapevo cosa fare, non potevo comunicare con nessuno”.
Dopo un po’ arriva una poliziotta che gli pone una sfilza di domande: “Mi chiede come si chiamano i miei familiari, che lavoro fanno, se mi chiamo Giuseppe Russo e se sono di Napoli. E io rispondo di sì e chiedo se c’è qualche problema”.
Poi, dopo tanta paura, finalmente la fine dell’incubo: “Alla fine dell’interrogatorio mi spiega che stanno cercando un narcotrafficante di Napoli, col mio stesso nome, ma hanno capito che non ero io”.
Così conclude Giuseppe il suo racconto: “Alla fine si scusano per il tempo che mi hanno fatto perdere e mi lasciano andare”.
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