Pubblicato il 3 Settembre 2020
Il ricordo della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a 38 anni dalla strage mafiosa che uccise il generale dalla Chiesa, da pochi mesi prefetto di Palermo. «Un grande e fedele servitore della Repubblica», una «guida ed esempio per tanti della sua generazione e per quelle venute dopo», per «il coraggio, il rigore morale, la perseveranza nell’operare per il bene comune», qualità dell’uomo di Stato ma anche «il lascito a cui ancora attingiamo per guardare al futuro con più fiducia, e senza recedere» davanti al pericolo mafia. Questo fu Carlo Alberto dalla Chiesa (immagine in evidenza da una pagina Fb a lui dedicata), prefetto di Palermo e prima generale dell’Arma dei Carabinieri, ucciso nel capoluogo siciliano in un agguato mafioso la sera del 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente della scorta Domenico Russo, e così lo ha ricordato la ministra Lamorgese, intervenuta questa mattina al termine della celebrazione religiosa nella cattedrale della città di Palermo in ricordo delle vittime della strage di 38 anni fa, si legge in un comunicato stampa del ministero dell’Interno.
Perché «ricordare il loro sacrificio, più che un dovere, è una necessità ineludibile». Senza la memoria del passato, infatti, «rischieremmo di smarrire la nostra stessa identità», ha affermato la ministra, che prima della celebrazione liturgica si è recata sul luogo dell’uccisione, in via Carini, accolta dal prefetto di Palermo Giuseppe Forlani, per deporre una corona di alloro.
Riallacciando il passato al presente e al futuro, la titolare del Viminale ha spiegato perché l’esempio di Dalla Chiesa – la cui uccisione «rappresentò un colpo durissimo per il Paese» – continua a essere linfa per l’azione di contrasto contro ogni forma di potere mafioso.
Dopo la sua morte lo Stato istituì l’Alto Commissario antimafia con «poteri straordinari ad amplissimo spettro, che indirizzarono gli strumenti di controllo verso gli ambiti più sensibili all’infiltrazione mafiosa: gli appalti pubblici e le attività economico-produttive». Un approccio strategico che anima tuttora «il sistema della prevenzione amministrativa antimafia», rimettendone l’esercizio ai prefetti.
In questo modo l’ordinamento ha saputo mettere a frutto l’intuizione e la capacità del prefetto Dalla Chiesa «di interpretare la realtà in cui si immergeva», come dimostrano – ha ricordato il ministro Lamorgese – le dichiarazioni rese alla Commissione Parlamentare antimafia quando era ancora comandante della legione di Palermo.
«Descrisse una mafia nuova e diversa rispetto a quella che aveva conosciuto e visto all’opera negli anni giovanili», inviato a Corleone tra il 1949 e il 1950: una mafia che cercava già di acquisire «una dimensione internazionale», approfittando anche dei progressi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Comprese tra i primi che per sconfiggere le mafie bisognava scuotere le comunità locali «da quella sorta d’indifferenza e di triste rassegnazione a cui sembravano piegate», sollecitandole al «rifiuto della sub-cultura mafiosa» anche garantendo i diritti fondamentali, e costruendo una società più equa.
Rigore etico, tensione morale, generosità, attitudine all’innovazione abbinata a una «lucida visione strategica» sono al tempo stesso un lascito del prefetto e un esempio del quale essere grati «è un dovere» ed essere all’altezza «l’impegno che ci attende», per non vanificare il ricordo di un funzionario dello Stato che ha amato la Sicilia, conclude la ministra Lamorgese.
Quella celebre intervista con Giorgio Bocca
Come ricorda il giornalista Sebastiano Gulisano, firma storica della testata “I Siciliani” e del giornalismo d’inchiesta, un paio di settimane prima della strage Repubblica aveva pubblicato una clamorosa intervista di Giorgio Bocca a dalla Chiesa, in cui il generale individuava il nocciolo della mutazione mafiosa, non più palermocentrica ma policentrica:”Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”.