Pubblicato il 21 Ottobre 2024
Dall’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022, l’Unione Europea (UE), il G7 e l’Australia hanno messo in atto una serie di sanzioni economiche contro la Russia, mirate ad indebolire la sua capacità di finanziare il conflitto. Tra queste misure, l’embargo sul petrolio russo e il tetto al prezzo del barile a 60 dollari hanno occupato un posto centrale. Tuttavia, quasi due anni dopo la loro attuazione, l’efficacia di queste sanzioni è oggetto di dibattito.
Dall’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022, l’Unione Europea (UE), il G7 e l’Australia hanno messo in atto una serie di sanzioni economiche contro la Russia, mirate ad indebolire la sua capacità di finanziare il conflitto. Tra queste misure, l’embargo sul petrolio russo e il tetto al prezzo del barile a 60 dollari hanno occupato un posto centrale. Tuttavia, quasi due anni dopo la loro attuazione, l’efficacia di queste sanzioni è oggetto di dibattito.
Embargo sul petrolio russo: sanzioni ambiziose ma aggirate
Nel maggio 2022, l’UE ha deciso un embargo parziale sul petrolio greggio russo importato via mare, entrato in vigore il 5 dicembre 2022. Questo embargo è stato esteso il 5 febbraio 2023 ai prodotti raffinati, come il gasolio. L’obiettivo era chiaro: ridurre le entrate petrolifere della Russia per ostacolare la sua capacità di finanziare la guerra in Ucraina.
Al contempo, è stato adottato da 32 paesi, inclusi l’UE, il G7 e l’Australia, un meccanismo di tetto al prezzo del petrolio russo a 60 dollari al barile, al fine di limitare i ricavi di Mosca evitando al contempo un’impennata dei prezzi sul mercato mondiale dell’energia. Tuttavia, la messa in pratica di queste misure ha incontrato delle difficoltà. La Russia ha rapidamente reagito vietando la vendita del suo petrolio ai paesi che applicano il prezzo massimo. Inoltre, è riuscita a reindirizzare le sue esportazioni verso mercati asiatici, in particolare la Cina e l’India, che non hanno aderito alle sanzioni occidentali.
L’ascesa di una “flotta fantasma” russa
Per aggirare le restrizioni, la Russia ha sviluppato una “flotta fantasma” composta da centinaia di navi senza chiara identificazione. Queste petroliere trasportano quotidianamente fino a 1,7 milioni di barili di petrolio verso l’Asia. Queste navi operano ai margini delle regolamentazioni internazionali, sfuggendo ai controlli e alle sanzioni.
Questa flotta pone seri rischi ambientali. L’assenza di un’adeguata assicurazione marittima (le assicurazioni europee non potendo più assicurare navi russe, divieto che potrebbe a breve essere esteso anche alle assicurazioni russe) e il cattivo stato di queste navi aumentano la probabilità di incidenti marittimi, che possono causare devastanti maree nere. Secondo alcuni esperti, queste petroliere sono a volte prive di qualsiasi copertura assicurativa e quindi di controlli, il che compromette i meccanismi di compensazione in caso di catastrofe.
Un impatto economico mitigato per le sanzioni
Nonostante le sanzioni, le entrate petrolifere e gasiere della Russia hanno raggiunto quasi 9.000 miliardi di rubli nel 2023 (circa 88 miliardi di euro), un livello comparabile a quello del 2021, prima dell’inizio del conflitto. La Russia è diventata il primo fornitore di petrolio della Cina, superando l’Arabia Saudita. Nuovi flussi commerciali che hanno permesso a Mosca di mantenere i suoi ricavi energetici.
Per l’UE, se la dipendenza dal petrolio e dal gas russi è diminuita, il rovescio della medaglia è un aumento dei costi energetici. Secondo alcuni analisti, l’Europa è caduta nella “trappola dell’energia cara”, il che potrebbe influire sulla sua competitività industriale e sulla sua transizione verso le tecnologie pulite.
Inoltre, le sanzioni hanno anche rivelato difficoltà in termini di coordinamento e applicazione. Ogni Stato membro dell’UE interpreta e applica le misure a modo suo, creando divergenze che possono essere sfruttate per aggirare le restrizioni. Senza contare la Brexit, che ha introdotto differenze tra i regimi di sanzioni dell’UE e del Regno Unito, complicando ulteriormente la situazione.
L’efficacia delle sanzioni è anche messa in discussione dal peso crescente dei paesi emergenti. I BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) non hanno seguito le sanzioni occidentali. Nel 2023, il loro PIL combinato ha superato quello del G7, raggiungendo il 32,1% contro il 29,9% del PIL mondiale a parità di potere d’acquisto, secondo il FMI. Questa realtà economica limita l’impatto delle misure adottate dai paesi occidentali e sottolinea lo spostamento del centro di gravità economico mondiale.
Sanzioni contro la Russia: ripensare le strategie per un impatto reale
Le sanzioni contro la Russia hanno permesso all’UE di ridurre la sua dipendenza energetica da Mosca, ma non hanno pienamente raggiunto il loro obiettivo di diminuire i ricavi della Russia. Inoltre, hanno generato conseguenze inattese, come l’emergere di una flotta marittima clandestina e rischi ambientali accresciuti.
L’UE e i suoi partner devono rivalutare l’efficacia di queste misure ed esplorare nuovi approcci. Una coordinazione internazionale più ampia, che includa i paesi emergenti, potrebbe rafforzare l’impatto delle sanzioni. La sfida consiste ora nel sostenere l’Ucraina minimizzando al contempo le ripercussioni negative sull’Europa e sul resto del mondo.