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Link Festival, day 2: la giornata si apre con il Medio Oriente e il clima che cambia

Il venerdì al Festival del Giornalismo parte con la presentazione di due libri che trattano tematiche piuttosto lontane fra loro ma che hanno in comune il limite dell’essere umano a cambiare, a migliorare piuttosto che abbandonarsi al proprio lato peggiore, come la violenza verso i propri simili e e l’ambiente.

Pubblicato il 2 Ottobre 2020

Il venerdì al Festival del Giornalismo parte con la presentazione di due libri che trattano tematiche piuttosto lontane fra loro ma che hanno in comune il limite dell’essere umano a cambiare, a migliorare piuttosto che abbandonarsi al proprio lato peggiore, come la violenza verso i propri simili e l’ambiente.
Marta Serafini presenta a Link il suo “L’ombra del nemico. Una storia del terrorismo islamista” e Stefano Liberti porta “Terra bruciata. Come la crisi ambientale sta cambiando l’Italia e la nostra vita”.


Nel primo incontro, quello con Marta Serafini, si è parlato di Medio Oriente individuando fin dalle prime battute la problematica dei fari spenti su molte situazioni di crisi in quell’area. Con il sopraggiungere del Covid tutta l’attenzione dei media e del pubblico è andata all’epidemia, al nemico invisibile che arriva nelle nostre città ed entra nelle nostre case e poco o niente si è detto di cosa continua ad accadere in luoghi come la Siria. “A un certo punto è come se si fosse spenta la luce in molte zone del mondo” ha detto l’autrice del volume.
Purtroppo, al di là del fatto che noi si sia prestata attenzione o meno alle aree in cui i conflitti sono ancora presenti e realtà come l’Isis siano ancora all’opera, tutto quello che li era in atto prima del Covid ha continuato ad andare avanti, come se nulla fosse. Le guerre sono ancora in corso e “non raccontarle è sempre miope” ci dice Marta Serafini, un’inviata che da piccola sognava di fare la cacciatrice di serpenti e, in un certo senso, possiamo dire che ci è riuscita.


La sua analisi spazia dai traffici di droga e medicinali come gli antidolorifici, storie speciali e toccanti come quelle di un bambino che lei ha intervistato presso una prigione di Erbil e le ha raccontato di come fosse costretto a smontare e rimontare velocemente un’arma da fuoco, sotto la costante minaccia di essere ucciso se avesse sbagliato qualcosa in quell’esercizio.
Poi si è trattato dei media e di come questi abbiano trattato le tematiche del Medio Oriente. Spesso le notizie e il materiale video proveniente da quelle zone è stato maneggiato con leggerezza e mandato in onda senza le opportune verifiche, senza analisi del contesto, di fatto facendo il gioco dei terroristi più che il bene dell’informazione, che spesso è risultata distorta o per lo meno inaccurata.


Attenzione di è data anche a drammi come quelli di del campo profughi di Moria, in Grecia, un problema che è da anni in attesa di soluzione e misura l’incapacità un po’ di tutti di dare una risposta. “Moria è li a testimoniare tutto quello che avremmo dovuto fare in questi anni e non siamo riusciti” ha affermato la Serafini.
Il flusso che porta le persone migranti verso l’Europa, verso il bel mondo, pone molti interrogativi sulle ragioni che spingono queste genti ad abbandonare le proprie terre, a rischiare la vita ma altrettante domande si possono porre su come funziona il passaggio di queste persone da una zona all’altra, di come mai in alcuni paesi sembra questa teoria omana sembra scorrere, i migranti vengono fatti filtrare, mentre in altri punti si blocca tutto. Chi ha dei vantaggi in tutto ciò?


Infine Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, chiede all’autrice cosa si sentirebbe di consigliare a chi come lei ha scelto di fare quel tipo di mestiere. La prima risposta, di getto e ironica, è stata “consiglio di pensarci bene” ma poi la Serafino ha continuando con un incoraggiamento a non fermarsi, a insistere “e non farsi scoraggiare dai no”.


Nell’intervista a Stefano Liberti, condotta da Marinella Chirico di RAI TGR FVG, il focus si è spostato sui disastri di casa nostra, ma non solo.
Forse pochi lo sanno ma, statisticamente parlando, ogni giorno in Italia si verificano cinque eventi naturali estremi che mettono in crisi la vita delle comunità che ne vengono colpite.
Dalle statistiche emerge che nel 2019 si sono verificati più di 1600 eventi estremi mentre nel 2020, che non si è ancora concluso, siamo a ridosso dei 1200. Se consideriamo l’Europa nella sua interezza l’Italia risulta essere di gran lunga il paese a maggior rischio.
Il nostro paese è addirittura considerato dagli esperti come un hotspot, un’area in cui è più facile osservare gli effetti del cambiamento climatico in corso.


Come si va dicendo ormai da tempo ma con meno ascolto del dovuto, se si andasse avanti così il peggior scenario immaginato dagli scienziati, quello chiamato “business as usual”, troverebbe realizzazione pratica e si avrebbero effetti disastrosi come l’aumento del livello del mare di un metro entro il 2100.
Già ora la natura ci sta mettendo a dura prova con conseguenti perdita in vite umane e in denari, ma la politica non sembra ancora pronta con progetti specifici, mentre la popolazione via via si sta iniziando a rendere conto del problema perché ne soffre.
Considerando che il problema c’è bisognerebbe iniziare a cercare di trovare delle soluzioni. Quali?
Un primo approccio sarebbe quello dell’adattamento del territorio, dunque interventi fisici massicci realizzati con importanti finanziamenti pubblici e buoni progetti. Un secondo livello, non alternativo al primo ma complementare ad esso, sarebbe l’implementazione di politiche atte a mitigare l’impatto del cambiamento climatico, a rallentare il più possibile ciò che si è messo in moto a causa nostra, delle nostre scelte e delle nostre attività, anche le più banali.


“Questa situazione è qui, adesso” dice Liberti e bisognerebbe parlarne di più e iniziare a muoversi.
Il mondo sta diventando strano, le stagioni si stanno sballando paurosamente e anche le altre specie sono in difficoltà, non solo la nostra.
Se noi ad esempio abbiamo sofferto circa 70.000 nel 2003 a causa di un’estate di caldo eccezionale, dobbiamo renderci conto che via via quello diverrà la norma.
Il caldo crescente già ora sta mandando in confusione tutte le altre specie, non solo animali ma anche vegetali. Abbiamo le api che sentono la primavera troppo presto, quando è ancora inverno, e le regine negli alveari si attivano nel fuori stagione. Ma anche le piante vengono sempre più presso tratte in errore e fioriscono troppo presto, venendo poi fortemente penalizzate quando si verificano dei rovesci. Una pianta che sembra stia incontrando sempre più spesso questa problematica è l’ulivo, un albero tanto caro a noi italiani amanti dell’olio di oliva e importanti produttori di questo prodotto straordinario.


Il messaggio di Stefano Liberti è dunque quello di cercare di informarsi, di rendersi conto della realtà e spingere affinché si inizi a fare qualcosa seriamente prima che sia, definitivamente, troppo tardi.