Link Festival: “Dove tutto è iniziato” con Giovanna Botteri

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La presidente di giuria del Premio Lucchetta torna nella sua città e racconta della sua esperienza come inviata RAI a Pechino, città da cui ha aggiornato gli italiani, giorno e notte, sugli sviluppi del virus che via via stava prendendo piede in Cina e poi da li nel resto del mondo.

Il titolo dell’incontro con l’inviata RAI è “Dove tutto è iniziato” ma a questa domanda se ne affianca subito un’altra “Quando è iniziato?” I cinesi riportano di un primo caso a novembre. Forse è successo qualcosa già prima?
Giovanna Botteri ci racconta che già a dicembre giravano strane voci sulle piattaforme di messaggistica cinesi ma nulla veniva confermato.
“Quando tu hai avvertito il pericolo?”, chiede Giovanni Marzini e l’inviata risponde: “Il pericolo, tutti quanti, lo abbiamo capito quando improvvisamente arriva l’ordine di Xi Jinping che dice basta, il paese si ferma”. Parliamo di 1 miliardo e 400 mila persone che ricevano questa notizia nel ben mezzo della loro vita quotidiana e mentre sono in corso i festeggiamenti e le vacanze legate al capodanno cinese.

Li – dice la Botteri – abbiamo capito che era iniziata la guerra, ma prima sono arrivare tutta una serie di avvisaglie. I miei ragazzi, io lavoro con dei tecnici giovani cinesi, mi dicono a dicembre ‘ci sono sulla piattaforma WeChat delle strane storie che dei medici di Wuhan stanno raccontando. C’è una polmonite virale che sta ammazzando la gente e non si capisce che cos’è.‘ Comincia a gennaio e i casi aumentano ma non si capisce da dove arrivi questa polmonite. E poi, improvvisamente, il 9 di gennaio l’Imperial College di Londra dice ‘attenzione, i numeri sono molto diversi, ci sono molti più zeri nei numeri dei contagi, molti più zeri nei numeri dei morti’ e a quel punto è una sorta di rincorsa a capire cosa sta succedendo. Non si conosce il virus, non sa, è tutto molto confuso. Comincia il nuovo anno lunare cinese, che vuol dire 700 milioni di persone che si spostano attraverso tutto il paese e poi, improvvisamente, alla fine del mese arriva questo annuncio. Chiuso, si chiude.
E per noi a Pechino, (…) una città di quasi 24 milioni di abitanti, è arrivata quasi nella notte è stata come la guerra, improvvisamente, al mattino tu ti svegli e il paese è in guerra, le strade sono tutte deserte, i negozi, gli uffici, le scuole, le fabbriche sono tutti chiusi e la gente è in casa ad aspettare senza sapere quello che succederà.
A Wuhan non si può neanche uscire dalle case, è l’esercito che porta da mangiare e c’è il filo spinato attorno ai caseggiati.”


Poi, interpellata nuovamente da Marzini sulle notizie non confermate che giravano nelle chat a dicembre, o forse anche prima, e sulle tardive comunicazioni ufficiali da parte delle autorità cinesi, Giovanna Botteri ci racconta che loro laggiù, parlando anche con i colleghi cinesi avevano avuto la sensazione “che il virus circolasse, che ci fossero già i casi di polmonite e che per un fatto assurdo a Wuhan, la Chicago dell’est cinese, i dirigenti locali abbiano fatto finta di niente perché avevano una sfida che li avrebbe portati nel guinness dei primati. Un banchetto un banchetto di 40 mila persone. La verità è che scoppia la tragedia, la strage a Wuhan con quel banchetto. 40.000 persone contagiate che immediatamente portano il virus a tutta una città di quasi 12 milioni di persone. E sembra una cosa assurda no? Un guinness dei primati, un banchetto da 40 mila persone eppure la stupidità, l’ottusità, il segreto tenuto in quel momento ha distrutto una città, ha distrutto una regione, ha piegato un paese e piegato probabilmente il mondo.”


Poi con l’inviata della RAI a Pechino si è parlato dell’atteggiamento tenuto dai dirigenti cinesi verso chi aveva capito che c’era qualcosa che non andava e voleva parlare, avvertire la popolazione. Chi provava dire la verità è stato intimidito, preso con violenza e silenziato. Qualcuna di queste persone è anche morta, come il famoso oculista che aveva riportato la stranezza e gravità della condizione di alcuni pazienti.

Difficile è stato poi anche il lavoro degli inviati dei giornali e delle reti televisive estere che si sono trovati pure loro catturati in un lockdown severissimo. Nessuno poteva uscire per cui era complicato raccogliere le testimonianze, entrare in contatto direttamente con le altre persone. Ognuno era relegato a casa sua. Il lavoro di un inviato nel bel mezzo di una guerra contro un virus misterioso e potenzialmente letale è molto diversa dall’operare su un territorio dove è in corso un conflitto di tipo tradizionale. In una guerra basata sull’uso delle armi un giornalista può sapere più o meno quali sono i posti più pericolosi, quali meno, dove è il caso di arrischiarsi ad andare e dove sarebbe puro suicidio mettere piede, ma con un virus come fai? Lui è invisibile, può essere dappertutto e qualsiasi passo fai può essere un rischio.
Così per i primi tempi nessuno si è visto in giro e tutti si sono buttati in rete, sui social, per cerare di trovare le notizie per poter prima capire e poi raccontare. In Cina, fra l’altro, si stava assistendo addirittura a intere comunità che si organizzavano fra loro anche militarmente per creare un cordone, delle barricate, attorno al loro paesino per evitare in modo assoluto che qualcuno potesse uscire, o peggio, entrare e portare il virus dove ancora non c’era.
Alla domanda se ci fosse stata la sensazione di essere controllati dallo stato, se ci fosse una chiara impressione di essere attenzioni dal sistema di potere locale in quanto giornalisti, Giovanna Botteri risponde che quel tipo di impressione semmai ha riguardato altri temi, come Hong Kong, ma non la questione del Covid. “La sensazione è stata, anzi, – dice la Botteri – che la Cina, in un momento così difficile cercasse l’aiuto e la solidarietà del mondo (…), cercasse di comunicare“.


Ma alla fin uno si chiede, a essere li in Cina nel momento in cui si innesca ed esplode un’epidemia che poi finirà non solo nei libri di storia ma anche in quelli di medicina, biologia, economia… ed essere corrispondenti con il compito di raccontare quello che è successo e che continua a succedere, ci si rende conto di contribuire alla scrittura di una parte della storia? Così Giovanni Marzini chiede a Giovanna Botteri “Avevi consapevolezza di raccontare qualcosa di storico?” e lei risponde “No, no,no”. Poi Marzini domanda ancora “Pensavi solo a lavorare e basta?” e lei dice “Sì, sì”.
Questo è anche un aspetto interessante di questa serata con Giovanna Botteri, perché spesso pensando al passato ci si chiede: ma quelli lo sapevano che stava cambiando tutto? Quando è successa quella cosa avevano capito quale importanza avrebbe avuto? La risposta ce l’ha fornita Giovanna. Quando si è immersi nella storia si è piuttosto occupati.

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Gigliola Antonazzi

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