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Link Festival: i vincitori del Premio Luchetta 2020

Il Festival del Giornalismo di Trieste è giunto alla sua conclusione con la consegna dei premi per le categorie Tv News, Stampa italiana, Stampa internazionale, Reportage e Fotografia.
Nell’ambito della manifestazione sono stati assegnati anche il Premio Testimoni della Storia al giornalista Giovanni Minoli e il Premio Speciale 2020 alla Senatrice Liliana Segre.

Pubblicato il 5 Ottobre 2020

Il Festival del Giornalismo di Trieste è giunto alla sua conclusione con la consegna dei premi per le categorie Tv News, Stampa italiana, Stampa internazionale, Reportage e Fotografia.
Nell’ambito della manifestazione sono stati assegnati anche il Premio Testimoni della Storia al giornalista Giovanni Minoli e il Premio Speciale 2020 alla Senatrice Liliana Segre.

Seppure fra molte difficoltà legate all’emergenza Covid anche quest’anno è stato possibile svolgere in presenza il Link Festival dedicato al buon giornalismo . Era particolarmente importante sostenere questo sforzo in un anno difficile come questo, segnato irrimediabilmente dalla presenza fra noi di un virus che minaccia e attira tutta la nostra attenzione. In momento in cui siamo naturalmente portati a preoccuparci principalmente di noi stessi il festival ha cercato di ricordare a tutti che il coronavirus non è l’unica minaccia incombente ma ce ne sono molte alte che lo hanno preceduto e che perdurano.

Sara Giudice, Giovanna Botteri, Nello Scavo e Andrea Frazzetta alla conferenza stampa

«Sensibilizzare i cittadini, per non dimenticare le emergenze del mondo che non si sono arrestate con la pandemia di questi mesi, è l’obiettivo dell’edizione 2020 del Premio Luchetta – ha spiegato Giovanna Botteri, la presidente di giuria del Premio Lucchetta – Gli indifesi hanno continuato a morire, non solo di coronavirus: fra questi innanzitutto i bambini, che restano i più indifesi. Guerre, conflitti e carestie si sono sommati drammaticamente alla diffusione del virus”. Giovanna Botteri ha poi aggiunto anche che, nonostante le vie impervie su cui tutti sono stati spinti dall’epidemia Il Premio Lucchetta ha la qualità ed è alla’altezza di sempre nonostante il Covid, questo vuol dire che il giornalismo è più forte di qualsiasi cosa, resiste anche alle pandemie e continua a lavorare al suo meglio. (…) I spero che il più alto numero possibile di persone possano vedere questi reportage, questi documentari, leggere questi articoli perché sono davvero belli, ci aprono una finestra ma non solo sul mondo, proprio su noi stessi, sul momento difficile che stiamo vivendo. Ci danno anche degli elementi per costruire assieme un futuro e per aiutare qualsiasi bambino che arriva dal Sud Africa, dalla Bosnia o con le barche, per capire che sono loro il nostro futuro e che quindi noi stiamo costruendo qualcosa e lo facciamo per noi e per i nostri figli, non solo per quei bambini che arrivano da lontano”.
Le storie, raccontate attraverso la scrittura, la fotografia e i filmati, che sono stati premiati durante questa edizione di Link raccontano appunto alcune criticità del mondo che rischiamo di scordarci, ora anche a causa del virus, ma che sono sempre li in attesa di risposta.

Giovanna Botteri, Sara Giudice e Adnan Sarwar alla conferenza stampa


PREMIO MARCO LUCHETTA PER IL MIGLIOR SERVIZIO TV:
Sara Giudice (Piazza Pulita La7 ) con “The Game: Vivere o Restare

La storia raccontata da Sara Giudice nel suo servizio per la trasmissione Piazza Pulita ha portato nelle nostre case l’esperienza di molti giovani, anche minori, che lasciano paesi come l’Afghanistan, il Pakistan e la Siria per raggiungere l’Europa in cerca di un futuro. Il loro percorso per arrivare nel nostro mondo è lungo, nello spazio e nel tempo, ed è pieno di insidie.

Ciò che descrive Sara è un tratto della rotta che attraversa i Balcani, partendo da un campo profughi posto vicino al confine fra Bosnia-Erzegovina e Croazia. “Questa è una delle più gravi crisi migratorie degli ultimi tempi, – ci dice l’inviata –  e una delle rotte che percorrono i migranti è proprio quella balcanica. Parliamo di chilometri e chilometri che percorrono in attesa e con la speranza in Europa. E in Europa molto spesso trovano una fortezza, trovano confini, trovano muri e trovano pericoli infiniti. Esistono poi paesi come la Bosnia che per loro diventano paesi prigione, paesi dove trovano questi, se si possono chiamare, campi profughi. In realtà quello di Vucjak è una discarica, un’ex discarica dove erano ammassate (adesso per fortuna è stato chiuso) centinaia e centinaia di persone in condizioni disumane, in attesa di andare avanti e senza più poter tornare indietro. Quindi, in questa attesa c’è il “game”, il gioco, quello che loro chiamano “il gioco” che non è altro che il provare, il tentativo di superare il confine e arrivare in un paese che possa accoglierli.  Ecco, loro lo chiamano il gioco proprio perché difficilmente riescono la prima volta a farcela e trovano tantissimi ostacoli, che ho provato a raccontare.”

Corrado Formigli e Sara Giudice

PREMIO MARCO LUCHETTA PER IL MIGLIOR ARTICOLO:
Nello Scavo (Avvenire) con “La Storia di Simba

Il piccolo “Simba” è il protagonista del racconto scritto da Nello Scavo e pubblicato su Avvenire. Il giornalista ha narrato l’avventura di un bimbo ivoriano di pochi mesi che è riuscito a sopravvivere ai campi libici, alla traversata del Mediterraneo ed è stato poi soccorso dalla nave Mare Jonio. Il piccolino, che con la sua straordinaria resistenza alle avversità si è merito un soprannome da leone della savana, poi è riuscito ad arrivare a Torino assieme alla sua mamma per iniziare una nuova vita.

“La Storia di Simba” è un racconto pubblicato dal giornale a fine anno, come storia di Natale, per fortuna a lieto fine perché Simba dopo tante peripezie riesce ad arrivare sano e salvo nel suo nuovo mondo. La sua è un’avventura drammatica che ci mette di fronte ai drammi di molte persone che cercano di arrivare in Europa via mare.“La storia di Simba per me è stata emblematica, – spiega Nello – perché io ho conosciuto questo bambino a settembre dell’anno scorso nel corso di uno dei periodi piuttosto lungi di navigazione nel Meditterraneo, nell’arae cosiddetta di  ricerca e di soccorso, libica. Era uno dei 20-22 bambini che erano stati soccorsi dalla Mare Jonio, il rimorchiatore di Mediterranea, la piattaforma di soccorso italiana ed era uno dei bambini che ho preso in braccio, perché a un certo momento neanche i soccorritori erano sufficienti a tenere in sicurezza tutti perché nessuno si aspettava 22 bambini su un gommone di 100 persone, altri nove erano morti poco prima che arrivassimo noi con la nave. E i bambini, parlo dai 3 mesi di età a nove anni, la maggior parte di loro quindi non potevano stare fermi sulla nave mentre si soccorrevano gli adulti e quindi insieme a Marco Mensurati di Repubblica, a Francesco Bellina il fotografo che ha scattato anche la foto che poi è stata un po’la foto emblematica di quella avventura/disavventura, ci siamo occupati da subito di questo bambino e come capita delle volte poi segui queste storie anche dopo. E Simba è arrivato poi a Torino nella settimana della pace, si è spostato con sua mamma in un’altra comunità famiglia. Adesso cammina con le sue gambe, però la sua è una storia emblematica di un tradimento, il tradimento dei diritti umani, perché a questi bambini per giorni è stato impedito di trasbordare su una nave della guardia costiera italiana o di essere sbarcati a terra a Lampedusa, in sicurezza e l’autorizzazione al trasbordo arrivò in piena notte, facendo rischiare ai soccorritori e a questi bambini la vita nel passaggio da una nave all’altra con due metri d’onda. Io ho immaginato che quello sia stato un momento proprio di cattiveria politica, così a Natale ho voluto riannodare i fili di quella storia, perché visto che il Natale ci racconta la storia di un altro bambino e tutti siamo più buoni mi è sembrato utile ricordare come tante volte non siamo più buoni e che il Natale ha senso se ci curiamo anche dei Simba, dei tanti Simba che ancora aspettano con le braccia aperte.”

Giovanna Botteri e Nello Scavo

PREMIO ALESSANDRO OTA PER IL MIGLIOR REPORTAGE:
Adnan Sarwar (Channel 4) con “School under Siege

Il reportage portato da Adnan Sarwar al festival testimonia le condizioni in cui vive la popolazione nel ghetto nero di Cape Flats a Città del Capo attraverso la storia di Mariezaan, un ragazzino che a undici anni è già il capo di una gang di quartiere.

Nell’area in cui vive il piccolo protagonista del racconto i più giovani vengono cooptati dalle gang e usati per i loro scopi criminali. In quel luogo di povertà, violenza e paura nell’ultimo anno sono stati uccisi ben 279 bambini e, come ha ricordato Giovanna Botteri durante la cerimonia di premiazione, alcuni dei protagonisti che si vedono in “School under Siege” sono morti, chi per droga chi ammazzato, dopo la realizzazione di questo documento filmato. Ma il reportage di Adnan Sarwar ha per noi almeno una buona notizia, il protagonista principale della storia ha ricevuto un aiuto e forse ce la farà ad uscire da quell’inferno. “Sono stato fortunato – afferma Adnan – che la famiglia di Mariezaan mi abbia dato il permesso di raccontare la loro storia. Tutti noi abbiamo dei bambini accanto, raccontare la storia di un undicenne che vive circondato da violenza, da droga, da bande è sicuramente una verità scomoda ma il nostro compito è proprio questo, raccontare la verità e il potere del giornalismo è proprio questo, dà aiuto grazie alla verità che viene raccontata”.

In questo lavoro, risalente allo scorso anno, l’autore documenta come sia alto, nel contesto sociale di Cape Flats, il livello di esposizione dei minori alle logiche della criminalità e dello spaccio. Parlando di Mariezaan l’autore dice che il ragazzino “Non era un criminale ma è cresciuto circondato dalle gang, dallo spaccio di droga e dalla violenza”. Il quell’ambiente le gang prendono fin da subito, da molto giovani, gli individui più svegli e li utilizzano per loro fini, come il traffico di droga e armi.

Giovanna Botteri e Adnan Sarwar

PREMIO DARIO D’ANGELO PER IL MIGLIOR ARTICOLO EUROPEO: Antonio Pampliega (El Independiente) con “Tirano Y Muy Señor Mío: El Matrimonio Infantil en Afganistán”
La tematica delle spose bambine è quella che invece ha indagato il giornalista Antonio Pampliega. Con una corrispondenza da lui curata per El Independiente si è gettata luce sull’usanza ancora esistente in Afganistan di far sposare le bambine a degli uomini adulti. Bimbe o ragazzine considerate solo come preziosi oggetti da scambiare, non come degli esseri umani. Piccole vittime di feroci costumi che quando cercano di fuggire da casa per sotterrarsi alla condanna di un matrimonio forzato vengono giudicate e condannate come delle criminali.

Antonio, in collegamento dalla Spagna con la figlia Ariana, ci racconta come è nato il suo reportage fotografico: “Ho viaggiato, sono stato in Afganistan per otto volte in un arco di tempo di circa 10 anni e durante l’ultimo viaggio ho avuto un’idea, di raccontare la storia di migliaia di bambine che ogni anno sono obbligate a sposarsi. Avevo un contatto che mi ha permesso di entrare nella vita di queste persone e di filmare dal vivo il matrimonio di un signore di 56 anni con una ragazzina di 15 anni. Per me è stata un’occasione unica per poter vedere con i miei occhi questa situazione.” Poi, alla domanda di Giovanna Botteri su come ci si senta a partire per realizzare lavori come questi in luoghi pericolosi e lasciando a casa la propria famiglia, il reporter risponde: “È una responsabilità per me lavorare in zone di guerra, so che cosa vuol dire sentirsi in pericolo perché sono stato sequestrato il Siria da Al-Qāʿida e ogni volta che vedo mia figlia penso ‘chissà cosa potrebbe succedere se dovessi morire, se dovessi essere sequestrato ancora una volta?’, ma è la mia responsabilità in quanto giornalista e so che mia figlia deve sapere, la fortuna che ha avuto a nascere in un luogo così protetto, deve sapere quello che facciamo noi, io come giornalista e tutti i miei colleghi che come me stasera ricevono questo premio”.

Antonio Pampliega con la figlia Ariana

PREMIO MIRAN HROVATIN PER LA MIGLIOR FOTOGRAFIA:
Andrea Frazzetta (New York Times) con “A Living in the Ruins”

Il reportage fotografico di Andrea Frazzetta, pubblicato dal New York Times, mostra la costa inondata del Bangladesh, sulle rive del Golfo del Bengala, dove l’arte dell’arrangiarsi è il primo requisito per la sopravvivenza e dove anche i bambini devono industriarsi e trovare espedienti, come quello di scavare i mattoni degli edifici crollati per poi rivenderli lungo i margini delle strade.

Il racconto per immagini di Andrea è stato realizzato per un numero monotematico annuale del New York Times dedicato ai cambiamenti climatici. In particolare, in quell’edizione, il tema del clima era stato messo in relazione all’economia. “Io ho proposto questa storia di questa famiglia che, ho scoperto, aveva inventato una sorta di nuovo lavoro, come forma di resistenza, di adattamento ai cambiamenti climatici.” ci racconta il reporter. “Si tratta di una famiglia che abita in un piccolo villaggio sul delta del Gange, nel sud del Bangladesh e che sfruttando la bassa marea si è inventata questo mestiere per cui va a recuperare i mattoni del vecchio villaggio, che è stato costruito 10 anni fa, li raccoglie e li vende al villaggio nuovo dove vengono usati per costruire nuove abitazioni, un dollaro al sacco.” L’autore ci dice che questo esempio da lui portato doveva essere una riflessione su come l’economia si sta confrontando con la tematica dei cambiamenti climatici e poi, aggiungendo qualche dettaglio su chi vediamo nelle sue foto, ci parla di un bambino di otto anni che aiuta sua madre. Loro raccolgono i mattoni e poi li portano sulla strada dove li vendono, sul ciglio.” E la foto chiave di tutta la storia è proprio quella, l’immagine che registra il momento in cui questo bambino si accinge a mettere i mattoni in un sacco. Quello è lo scatto, a livello simbolico.

Giovanna Botteri e Andrea Frazzetta e il figlio Diego

PREMIO SPECIALE 2020
Daniela Schifani Corfini, vedova di Marco Lucchetta, ha consegnato il Premio Speciale 2020 alla Senatrice Liliana Segre. Tale premio viene assegnato ogni anno dalla Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin a coloro che nell’ambito delle loro attività si sono distinte nell’opera di difesa e valorizzazione degli ideali alla base di questa fondazione.
“Per la forza del suo messaggio di pace, vaccino prezioso contro l’odio, il razzismo e l’indifferenza, che sono più colpevoli della violenza stessa – ha spiegato la presidente della Fondazione, Daniela Luchetta – il Premio Speciale va quest’anno alla senatrice Liliana Segre, alla quale siamo riconoscenti per le preziose testimonianze del suo passato, grande insegnamento alle nuove generazioni, chiamate a costruire un futuro che abbia la solidarietà come forza trainante. I valori cui si ispira il premio e la stessa Fondazione – ha aggiunto Daniela Luchetta – si fondono con il vissuto ed i principi che accompagnano la vita stessa della Senatrice. Integrazione, rispetto, uguaglianza, rifiuto dell’odio, solidarietà e cura, rispetto e tutela dei più piccoli è da sempre la mission di questa onlus”.

Giovanna Botteri e Daniela Schifani Corvini presentano il Premio Speciale 2020 assegnato alla Senatrice Liliana Segre

PREMIO CRÉDIT AGRICOLE FRIULADRIA TESTIMONI DELLA STORIA 2020
A Giovanni Minoli è stata assegnata la 9^ edizione del Premio Crédit Agricole FriulAdria Testimoni della Storia promosso dal Premio Giornalistico internazionale Marco Luchetta su impulso di Crédit Agricole FriulAdria, d’intesa con il festival Pordenonelegge.
“Come giornalista, autore e conduttore – spiegano le motivazioni – ha scritto pagine indelebili nella storia della televisione italiana in cinquant’anni di carriera: un percorso professionale che lo ha poi portato anche a ricoprire ruoli dirigenziali nel servizio pubblico e ad occuparsi, con sensibilità e impegno, delle cruciali questioni della sostenibilità, di cui la Banca è promotrice”.

Giovanni Minoli riceve il Premio Crédit Agricole FriulAdria Testimoni della Storia 2020


Alcune foto dalla conferenza stampa con i vincitori del premio presenti a Trieste durante il LINK FESTIVAL 2020:

Nello Scavo
Sara Giudice
Adnan Sarwar
Andrea Frazzetta

Foto: Gigliola Antonazzi