La protesta di Black Lives Matter torna a montare in a Los Angeles dopo l’uccisione di un giovane da parte della polizia, mentre il presidente Donald Trump vola a Kenosha prendendo le parti delle forze dell’ordine e definendo le azioni dei manifestanti “terrorismo interno”.
Ennesima giornata complicata negli Stati Uniti sul fronte della sicurezza e delle proteste. Donald Trump, nonostante i tentativi di dissuasione da parte del governatore del Wisconsin e del sindaco di Kenosha, ha deciso di andare comunque in visita presso la cittadina, ora sede di proteste e rivolte a causa del ferimento dell’afroamericano Jacob Blake per mano della polizia locale che gli ha sparato 7 colpi di pistola alla schiena.
Oltre agli amministratori locali, direttamente toccati dal problema, anche molti commentatori sparsi per il Paese sono intervenuti sul tema della visita di Trump a Kenosha definendola una pessima idea. Nei giorni scorsi, anche durante la Republican National Convention, il presidente aveva fatto riferimento alla brutta situazione in essere in questa città, ma aveva evitato di menzionare che alla base delle proteste ci fosse l’indignazione della comunità afroamericana per il ferimento di Blake, che ora è in ospedale semi-paralizzato. Trump aveva continuato a ripetere “law and order” (legge e ordine) ma non una parola sulle eventuali responsabilità o colpe della polizia, così il suo progetto di visita è sembrato fin da subito più una sfida che altro.
Nel rispondere alla stampa, poco prima della partenza per il Wisconsin, Donald Trump aveva detto che con la sua visita voleva ringraziare le forze dell’ordine e la Guardia Nazionale “per un lavoro ben fatto”. Ma molti, compreso il suo avversario per la corsa alla Casa Bianca, hanno inteso questo suo viaggio come l’ennesima occasione per “soffiare sul fuoco”, in una giornata pure poco felice viste le notizie che stavano arrivando dalla costa ovest. A Los Angeles infatti era appena emerso un nuovo episodio in cui la polizia aveva sparato contro una persona di colore uccidendola.
Dijon Kizzee è il nome della vittima, un ragazzo di 29 anni che, da quanto riferito dalle forze dell’ordine, aveva tentato la fuga dopo che la polizia aveva cercato di fermarlo mentre transitava in bici. L’uccisione di Kizzee sembra sia avvenuta in fase di inseguimento, dopo che il giovane aveva preso a pugni in faccia un agente di polizia e gettato un pacco di vestiti, fra i quali era spuntata pure una pistola semiautomatica. A seguito di questo fatto la tensione nella metropoli è salita sfociando poi in alcune manifestazioni nella zona della sparatoria, in cui hanno risuonati cori come “no giustizia, no pace” oppure “Blake lives matter”.
E in questo panorama, già ribollente di tensione e di sommosse popolari in varie parti degli Stati Uniti, il presidente ha pensato di fare campagna elettorale proponendosi in persona come colui che porta l’ordine e difende la proprietà privata.
Nel suo tour a Kenosha Trump si è fatto portare nei luoghi in cui poche ore prima erano stati bruciati degli edifici, fra cui un negozio che aveva aperto i battenti 109 anni prima e che ora si ritrova ridotto in cenere. Oltre alle rovine, ancora fumanti, il programma della giornata ha previsto un incontro con le forze di polizia e le autorità locali.
Durante la sua visita nella tumultuosa cittadina il presidente non si è neppure sottratto dal rilasciare alcune dichiarazioni, che hanno fornito ulteriori spunti di discussione e polemica.
“La grande maggioranza dei poliziotti sono onesti servitori pubblici” ha affermato Trump, “qualcuno va nel pallone per decisioni difficili, che devono essere prese in frazioni di secondi”. E nel dire ciò ha nuovamente preso come esempio il caso dei giocatori di golf che a volte perdono il sangue freddo e mancano una buca facile. Tale raffronto, proposto una prima volta durante un’intervista con Laura Ingraham di Fox News, ha subito creato qualche perplessità. La comparazione fra i poliziotti che sparano alla gente e i golfisti che sbagliano un colpo a due passi dalla buca è chiaramente sembrata fuori luogo, ma al presidente quella metafora piace così l’ha riproposta.
Durante la conferenza stampa a Kenosha Donald Trump ha insistito con decisione nel difendere la polizia e ammonendo coloro che a suo dire cercano di ritrarre le forze dell’ordine e il loro operato come qualcosa di cattivo. “Noi amiamo le forze dell’ordine,” ha affermato il presidente e “la retorica contro la polizia è pericolosa. (…) C’è una guerra contro le forze dell’ordine. I democratici hanno perso il controllo e sono in mano alla sinistra radicale, alla criminalità e i loro sindaci si rifiutano di mettere i rivoltosi in carcere. Invece quello che serve è tolleranza zero contro l’anarchia e la violenza: quello di cui abbiamo bisogno è ordine, altrimenti la democrazia è morta.“ Poi Trump ha espresso la sua intenzione di risolvere le cose: “Abbiamo bisogno di ordine nelle nostre città. Per questo sono pronto a schierare gli uomini della Guardia nazionale.” Nel caso del Wisconsin però la realtà ci racconta una storia un po’ diversa in cui il governatore Tony Evers, un democratico, di fronte ai seri problemi di ordine pubblico si è autonomamente appellato alla Guardia Nazionale richiedendone l’intervento.
Un’altra dichiarazione di Donald Trump che ha fatto piuttosto scalpore è stata poi quella sull’episodio che ha visto protagonista un diciassettenne presentatosi in strada durante le proteste con un fucile semiautomatico, con cui poi ha colpito a morte due persone.“Ci sono delle indagini” ha detto il presidente prima di partire per Kenosha “Stiamo guardando tutto. E quella è stata una situazione interessante. Avete visto lo stesso nastro che ho visto io. E stava cercando di allontanarsi da loro, immagino; così sembra. Ed è caduto, e poi lo hanno attaccato molto violentemente. Ed è qualcosa che stiamo esaminando in questo momento ed è sotto inchiesta. Ma immagino che fosse in grossi guai. Sarebbe stato, probabilmente sarebbe stato ucciso.” Con queste parole Trump ha di fatto difeso un ragazzo uscito di casa per contestare chi manifestava contro il razzismo e per fare ciò si è portato con se un’arma detenuta illegalmente.
Ma se dal Wisconsin Donald Trump cercava di proporsi al Paese nel ruolo di comandante in capo che ripristina la civiltà nei centri abitati degli Stati Uniti il suo avversario, dalla Pennsylvania, si adoperava per ricordare ai cittadini che la violenza a cui stanno assistendo e subendo è in atto nell’America di ora, quella in cui Trump è presidente non lui. Così, riprendendo le esatte parole pronunciate dell’attuale presidente per screditarlo, Biden ha rimandato la palla nel campo avversario: “Cito: ‘non sarete al sicuro nell’America di Joe Biden’, ma violenza che stiamo vedendo è nell’America di Trump. Queste non sono le immagini di una qualche immaginaria America di Joe Biden nel futuro, queste sono immagini dell’America di Donald Trump, oggi.” Poi ha continuato sottolineando un aspetto un po’ curioso di tutta la questione: “Lui continua a dirvi che se solo lui fosse presidente ciò non accadrebbe’, lui continua a dirvi che se lui fosse presidente voi vi sentireste sicuri. Bene, ma lui è il presidente, al di là che lo sappia o meno. E ciò sta accadendo e sta peggiorando e lo sapere perché? Perché Donald Trump ha fornito benzina a ogni fuoco”.
In visita a Pittsburgh, per perorare la sua causa in uno dei territori definiti come “swing states”, Joe Biden si è esibito in un paziente lavoro di fact-checking, rispedendo al mittente tutte le insinuazioni e le bugie raccontate da Trump e i suoi su di lui durante la convention repubblicana. Rispondendo alle accuse di essere il cavallo di Troia della sinistra radicale il candidato democratico ha domandato agli americani: “Chiedetevi, sembro un socialista radicale, con un debole per i rivoltosi? Davvero?”. Poi, puntando diritto sull’accusa rivoltagli da Trump sulla questione della sicurezza, Biden ha spiegato: “Lui può credere che pronunciare le parole ‘legge e ordine’ lo renda forte. Ma il suo fallimento nel chiedere ai propri sostenitori di smetterla di agire come milizia armata in questo paese dimostra quanto sia debole. Qualcuno crede che ci sarà meno violenza in America se Donald Trump verrà rieletto? Voglio un’America sicura, al riparo dal Covid, al riparo da crimini e saccheggi. Più al sicuro dalla violenza razziale, al riparo dai cattivi poliziotti. Lasciatemi essere chiaro. Al sicuro da altri quattro anni di Donald Trump.”
Oramai mancarono solo due mesi alla data delle elezioni. Due mesi di sorprese, di colpi bassi e di problemi tecnici, perché questa sarà la prima elezione presidenziale con un voto per posta massivo che porrà l’intero sistema sotto pressione e, probabilmente, non consegnerà il nome del vincitore direttamente il 3 novembre.
Nelle ultime settimane è infatti capitato sotto la lente di ingrandimento del parlamento il servizio postale degli Stati Uniti (USPS) il cui direttore generale, Louis Dejoy, è stato chiamato a rispondere a senatori e rappresentati in merito ai recenti disservizi. Su segnalazione di alcuni postini era infatti emerso che già in questo periodo il servizio sta subendo dei rallentamenti, cagionando seri problemi agli utenti e in particolare a coloro che risiedono in aree rurali e ricevono i loro medicinali salvavita direttamente a casa. Ritardi nella consegna di un paio di settimane hanno messo a rischio la salute di diversi cittadini e hanno fatto scattare l’allarme per quello che potrebbe accadere da qui in avanti, con il riversarsi nel flusso postate delle schede elettorali di milioni di americani.
In verità, i cittadini degli Stati Uniti hanno iniziato a votare via posta già da qualche settimana. I più proattivi e forse anche meno fiduciosi, nella capacità del servizio postale di reggere a ulteriori sollecitazioni, si sono portati avanti per essere certi che il loro voto arrivi in tempo e venga contato. E questo è un po’ il consiglio e il mantra dei democratici in questo periodo “make your plan for voting!” (fatevi un vostro programma di voto), insomma, “organizzatevi per tempo, non aspettate!”.
Nonostante ciò e anche ponendo fiducia nelle capacità organizzative degli americani, si pone comunque il problema di riuscire ad aprire, controllare, validare e contare velocemente tutte le “ballot” (che curiosamente richiamano le “balòte” in uso a Venezia al tempo dei dogi) in modo da conoscere il nome del vincitore nella notte delle elezioni.
Sapendo che questa è quasi una missione impossibile, se si segue lo standard usato fino a qui per lo spoglio, alcuni stati stanno cercando di farsi autorizzare ad aprire le schede elettorali con qualche giorno di anticipo, in modo da non soccombere sotto una valanga postale già ampiamente pronosticata. Fra gli stati che credono di aver bisogno di partire prima con i lavori ci sono il Wisconsin e il Michigan.
Ma le tempistiche di spoglio delle schede non sono gli unici problemi che i diversi stati si troveranno ad affrontare. Un altro punto delicato è rappresentato dalle finanze statali, fiaccate da mesi di regno del Covid, che non permettono di investire granché nel meccanismo del voto. Ed è qui che entrano in gioco due benefattori a sorpresa, ovvero Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan. I due miliardari che devono le loro fortune ai social network, dunque a tutti noi che ci iscriviamo a queste piattaforme, contribuendo con contenuti e ore di fruizione. È dunque notizia di ieri sera quella della maxi donazione dei due coniugi affinché si possano attuare tutti i dovuti investimenti nella macchina elettorale a stelle e strisce, garantendo perciò il diritto di voto a tutti.
“Molte contee e stati sono a corto di risorse finanziarie e stanno lavorando per capire come organizzare il personale e finanziare le operazioni che consentiranno ai voti di essere espressi e contati in modo tempestivo”, hanno dichiarato Chan e Zuckerberg in un comunicato. “Queste donazioni aiuteranno a fornire ai funzionari locali e statali di tutto il paese le risorse, la formazione e le infrastrutture necessarie per garantire che ogni elettore che intende votare sia in grado e, in ultima analisi, di preservare l’integrità delle nostre elezioni”.
La cifra di cui si sta parlando è di 300 milioni di dollari di cui 250 milioni andranno al Center for Tech and Civic Life e i restanti 50 milioni al Center for Election & Innovation Research. Un bel dono, che in un certo senso arriva dagli stessi candidati alla Casa Bianca i quali, giorno dopo giorno, spendono sempre più milioni per spingere le loro campagne su Facebook e le altre piattaforme del gruppo. Così, grazie a Chan e Zuckerberg, una parte degli investimenti in propaganda via social fatti da Trump e Biden per aiutare se stessi tornano immediatamente in circolo nelle elezioni per supportare il rito democratico del voto.
Fonte: ANSA 01/09/2020 Ore 13:01 e 23:46, Associated Press, CBS, CNN 01/09/2020
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