Il provvedimento, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nissena, è il risultato di complesse indagini nell’ambito del più ampio contesto investigativo delle cosiddette “agromafie”.
I principali indiziati sono due fratelli, imprenditori agricoli della provincia di Enna, che avrebbero imposto la loro presenza sulle aziende che erano state loro confiscate in una precedente operazione.
In particolare, attraverso dipendenti fidelizzati, avrebbero inciso nelle dinamiche aziendali a più livelli, talvolta anche attraverso direttive in contrasto con quelle dell’amministratore giudiziario, arrivando alla presunta sottrazione di beni strumentali all’attività agricola per fini personali.
Inoltre, in danno delle stesse aziende, oltre ai ricorrenti furti, sarebbero state accertate diverse forme di intimidazione nei confronti dei lavoratori assunti dall’amministrazione giudiziaria, configurandosi una singolare forma di estorsione aggravata dal metodo mafioso, perché sarebbero stati indotti a interrompere il rapporto di lavoro.
Le minacce non sarebbero fatte in prima persona dai due fratelli, ma da complici che avvicinavano i dipendenti assunti dall’amministratore giudiziario per costringerli a licenziarsi con le minacce.
Quelle tipiche del metodo mafioso, tanto che le vittime, terrorizzate, non hanno sporto denuncia e non hanno spiegato all’amministratore il perché della loro improvvisa decisione di tornare disoccupati.
I due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà nelle loro imprese, che avrebbe garantito il costante controllo sulle attività aziendali.
I due fratelli avrebbero organizzato, all’interno di una delle imprese sequestrate, anche “una cena a base di porchetta”. Una festa dal valore simbolico mafioso: una dimostrazione di forza, che avrebbe accresciuto il loro prestigio di fronte ai dipendenti.
Inoltre, uno dei due fratelli, attraverso l’intermediazione di altri fiancheggiatori della provincia di Messina, uno dei quali affiliato a Cosa nostra, avrebbe preteso, con l’estorsione, la restituzione di un autocarro aziendale da un imprenditore peloritano che lo aveva legittimamente acquistato dall’amministrazione giudiziaria.
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