Paolo Maldini è stato a lungo una bandiera in campo del Milan, con il quale ha vinto praticamente tutto. Il suo sogno era costruire un grande Milan anche da dirigente, ma il rapporto con il club rossonero si è interrotto lo scorso giugno per vari motivi.
L’ex terzino, a distanza di 6 mesi, ha finalmente vuotato il sacco e in un’intervista a Repubblica ha raccontato come sono andate veramente le cose sul suo licenziamento.
Tra i principali pomi della discordia c’è il mercato del Milan, sul quale Maldini e proprietà spesso non si sono trovati d’accordo. Si è detto che Maldini e Massara non condividevano gli obiettivi del club, notizia che lui stesso ha smentito: “Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da Ceo e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget. È normale a volte l’interferenza nelle scelte sportive, che spostano equilibri finanziari. È ingiusta l’accusa di non averle condivise. Per Ibrahimovic servirono tante riunioni”.
Poi è tornato sul 5 giugno scorso, quando gli fu comunicato di essere stato licenziato: “Cardinale mi disse che io e Massara eravamo licenziati. Gli chiesi perché e lui mi parlò di cattivi rapporti con l’ad Furlani. Allora io gli dissi: ti ho mai chiamato per lamentarmi di lui? Mai”.
Sul licenziamento Maldini si è tolto un sassolino dalla scarpa rivelando: “Il contratto, 2 anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo scudetto”.
A proposito di mercato, Maldini ha rivelato che ci sono state frizioni anche per quanto riguardava il budget, che gli è stato comunicato solo a giugno: “Prima del mio licenziamento Fabiani me ne comunicò uno molto basso. Io ne presi atto. Dopo la nostra partenza il budget è raddoppiato. Al netto della cessione di Tonali”.
A proposito di Tonali, che tra l’altro non può giocare al momento dopo aver patteggiato la squalifica in seguito alla storia delle scommesse illegali, lui non era d’accordo con la sua cessione: “Avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità. Per Sandro spendemmo un quinto del valore di dominio pubblico e dovemmo discutere animatamente con Ceo e proprietà: non lo voleva neppure l’area scouting”.
Ha poi riservato una stoccata al presidente Scaroni, il quale ha detto che dopo l’addio di Maldini il gruppo dirigenziale è più unito di prima: “Lui non ha mai chiesto – ha commentato l’ex difensore – se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due Ceo, Gazidis e Furlani”.
Maldini ha poi parlato della Champions, un sogno che la dirigenza aveva come obiettivo: “Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’ad Furlani”.
Non ci fu risposta e poi Maldini è tornato a parlare di mercato, spiegando che aveva previsto un piano triennale proprio perché gli investimenti erano stati fatti su giocatori giovani che necessitavano di tempo per crescere: “Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati, coccolati, ripresi. D’altronde, dopo tre mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e Ceo e praticamente delegittimati: i vari Leao, Bennacer e Theo non piacevano. Ma serviva un percorso. Ricordo sempre da dove siamo partiti”.
Anche lo stadio è stato motivo di scontro, come ha rivelato Maldini: “Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70 mila a San Siro, avevo ragione”.
Per quanto riguarda il futuro ha detto che non vuole lavorare in un’altra società italiana e l’idea di andare in Arabia Saudita lo stuzzica: “A me piace vincere e costruire. L’Arabia potrebbe essere un’idea”. L’ex terzino ha un messaggio finale al vetriolo per la dirigenza: “Oggi comandate voi, ma per favore rispettate la storia del Milan”.
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