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Microplastiche in frutta e verdura, la ricerca unica al mondo dell’Università di Catania

Pubblicato il 16 Giugno 2020

Una “scoperta” che viene dall’Università di Catania: per la prima volta al mondo uno studio riporta le concentrazioni di microplastiche contenute in alcuni dei frutti e delle verdure più consumati in Italia. Lattughe, broccoli, carote, patate, mele e pere.

La ricerca condotta dal gruppo del Laboratorio di Igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania porta la firma dei ricercatori Gea Oliveri Conti, Margherita Ferrante, Claudia Favara, Ilenia Nicolosi, Antonio Cristaldi, Maria Fiore e Pietro Zuccarello dell’ateneo catanese insieme con Mohamed Banni del Laboratoire de Biochimie et Toxicologie Environnementale di Sousse in Tunisia ed è stata pubblicata nei giorni scorsi nell’articolo “Micro- and nano-plastics in edible fruit and vegetables. The first diet risks assessment for the general population” sull’importante rivista di settore Environmental Research (Elsevier).

Nello studio del Laboratorio etneo, diretto dalla prof.ssa Margherita Ferrante, sono pubblicati i dati derivanti dall’applicazione dell’innovativo brevetto catanese – realizzato da Ferrante, Oliveri Conti e Zuccarello – su vegetali (tra la frutta mele e pere, mentre tra le verdure patate, carote, lattuga e broccoli) aprendo uno scenario mai prima d’ora ipotizzato.

I dati mostrano una contaminazione variabile con dimensioni medie delle microplastiche da 1,51 a 2,52 microns e un range quantitativo medio da 223mila (52.600-307.750) a 97.800 (72.175-130.500) particelle per grammo di vegetale rispettivamente in frutta e verdura.

«Il gruppo di lavoro – spiegano la prof.ssa Margherita Ferrante e la ricercatrice Gea Oliveri Conti – sta, inoltre, ampliando gli alimenti investigati. Attualmente è in fase di elaborazione un ulteriore articolo sui dati derivanti dai filetti di pesce. L’articolo riporta, inoltre, le Estimated Daily Intakes (Assunzioni giornaliere stimate) per adulti e bambini, divenendo di fatto il primo studio che quantifica l’esposizione a microplastiche inferiori ai 10 microns della popolazione generale mediante l’ingestione di tali alimenti».

La ricerca dimostra che l’impatto dei rifiuti plastici presenti nei mari e nei corsi d’acqua sugli habitat naturali e sulla fauna selvatica rappresenta un problema emergente di livello globale e l’EFSA (European Food Safety Autority), di concerto con la Commissione europea, ha già richiesto un primo passo verso una futura valutazione dei potenziali rischi per i consumatori derivanti dalla presenza di microplastiche e nanoplastiche negli alimenti, in particolare nei prodotti ittici.

Questa tematica era stata oggetto nel 2019 di una inchiesta svolta dal giornalista Luca Ciliberti dal titolo “Che cosa mangiamo” con la partecipazione del Laboratorio di Igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania e anche di una interrogazione sulla presenza di microplastiche e relative contaminazioni nei vegetali presentata a Bruxelles dall’europarlamentare Ignazio Corrao.

Nell’aprile dello scorso anno l’allora vicepresidente Jyrki Katainen a nome della Commissione europea aveva risposto all’interrogazione che la presenza di microplastiche negli ortaggi, dimostrata dallo studio etneo, costituisce un elemento di assoluta novità.

«In presenza di nuovi dati scientifici riguardanti i possibili effetti delle micro e nanoplastiche sulla salute, il loro ingresso nella catena alimentare e la conseguente esposizione umana e animale attraverso un normale regime alimentare, potrebbero essere prese in considerazione misure appropriate qualora vi fossero prove di un rischio per la salute umana e animale – si legge nella risposta di Jyrki Katainen -. La Commissione sta valutando ulteriori azioni per finanziare la ricerca sull’esposizione alle micro e nanoplastiche e sui loro effetti sulla salute nell’ambito del programma quadro di ricerca e innovazione “Horizon 2020”».