Una tragedia che possiamo solo immaginare quella che ha colpito Soni, la vedova di Satnam Singh, in Italia col marito, e solo con lui, per lavorare, e che improvvisamente si è ritrovata da sola, senza riferimenti e dopo aver assistito alla barbara morte del marito…
Da sabato scorso vive in una località protetta nella provincia di Viterbo, assistita dalla sorella Raman Deep e da un’organizzazione delle Nazioni Unite.
Dalle carte dell’inchiesta emerge il racconto della donna, che rivive quel tragico 17 Giugno. Soni racconta: “Sono sposata con Satnam da tre anni e mezzo. Abbiamo vissuto prima a Napoli, dove lavoravamo in un’azienda di allevamento di bufali, poi a Cisterna di Latina, impiegati in un’azienda agricola nella zona di Borgo Santa Maria”. La coppia si occupava della raccolta di ortaggi e frutta per circa 6 euro l’ora, lavorando otto/nove ore al giorno.
Quel fatidico giorno, Soni e Satnam erano al lavoro. “Quando è successo l’incidente a mio marito, il trattore stava fermo, Antonello stava seduto sul trattore mentre l’avvolgi-plastica era in funzione, Antonello dava indicazioni a mio marito delle operazioni che avrebbe dovuto svolgere. All’improvviso ho sentito Antonello urlare e poi ho visto mio marito riverso a terra, accovacciato su se stesso vicino al macchinario. Ho capito in quell’istante che mio marito era stato trascinato all’interno dell’avvolgi-plastica e poi riversato per terra. Nell’immediato, Antonello urlava le frasi “è morto, è morto!” mentre mio marito si trovava a terra con il braccio destro tranciato. Ho visto che aveva subito anche delle lesioni ad entrambe le gambe. Ho subito chiesto ad Antonello di chiamare i soccorsi ma lui continuava a dire le frasi “è morto, è morto!”. Solo dopo aver insistito nella mia richiesta Antonello ha preso un furgone di colore bianco, ha caricato mio marito all’interno riponendo il braccio staccato in una cassetta in plastica per poi accompagnarci presso il nostro domicilio in via Genova. Giunti a casa, un mio connazionale che vive anche lui in via Genova con la sorella, visto le condizioni in cui versava mio marito, subito si è attivato per richiedere l’intervento dei medici che sono arrivati poco dopo, soccorrendo mio marito che è stato trasportato con urgenza in una struttura ospedaliera. Antonello, arrivati in via Genova 13, ha preso in braccio mio marito e lo ha portato davanti all’ingresso. Poi si è allontanato velocemente. Subito dopo mi sono resa conto che il mio cellulare e quello di mio marito erano rimasti nel furgone»
Invece di chiamare immediatamente i soccorsi, Antonello Lovato ha cercato di evitare conseguenze per sé e la sua attività, caricando il ferito nel furgone e abbandonandolo davanti casa. Questo comportamento ha portato i giudici a incriminarlo per omicidio volontario con dolo eventuale.
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