Pubblicato il 22 Giugno 2024
Proseguono le indagini sulla morte di Satnam Singh, detto Navi, che ha suscitato sdegno e scalpore sia per l’incidente sia per quello che è accaduto dopo. Così come hanno suscitato sdegno e scalpore le parole di Renzo Lovato rilasciate al Tg1, padre di Antonello, che di fatto ha attribuito al bracciante indiano le colpe dell’incidente.
Antonello Lovato, l’imprenditore che avrebbe lasciato Satnam agonizzante per strada col braccio mozzato in una cassetta della frutta, al momento è indagato per omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Ma, come ha spiegato Il Fatto Quotidiano, l’inchiesta potrebbe allargarsi per capire se Lovato abbia agito da solo e se qualcuno possa aver fatto pressioni su di lui, inducendolo a lasciare Navi per strada piuttosto che portarlo in ospedale. In ogni caso Renzo Lovato, il padre dell’imprenditore, non risulta indagato.
Le pesanti accusate a Lovato
Come ha riportato Open ci sarebbe un testimone che accuserebbe direttamente Lovato che, secondo le sue dichiarazioni, dopo l’incidente si sarebbe fatto la doccia, avrebbe lavato il pullmino e poi avrebbe chiamato due avvocati. Da quanto risulta la famiglia Lovato, originaria del Veneto, si trasferì nel Lazio negli anni ’30 durante la ripopolazione dell’Agro Pontino del Fascismo.
Gli investigatori stanno indagando anche sulla sistemazione di Navi e della moglie Sony, stipati in una piccola casa in lamiera di pochi metri quadrati in un giardino di Borgo Bainsizza. Sony ha spiegato di aver chiesto più volta a Lovato, invano, di accompagnarlo in ospedale. Per lei si sono mossi i sindacati che stanno raccogliendo fondi per aiutarla e i servizi sociali che sono riusciti a farle ottenere un permesso di soggiorno speciale per il suo ruolo di testimone. Intanto, secondo i primi risultati dell’autopsia, Navi si sarebbe potuto salvare se soccorso in tempo.
L’accusa dell’associazione “Terra!”: “Basta morti sul lavoro e braccianti sottopagati”
La tragica vicenda di Navi ha acceso drammaticamente i riflettori sul caporalato e sul lavoro sommerso, che genera situazioni di pericolo e paghe misere. Fabio Ciconte, co-fondatore dell’associazione “Terra!” che porta avanti la campagna “Filiera Sporca”, ha sottolineato come ci sia una letale correlazione tra i prezzi troppo bassi dei prodotti agricoli e le morti sul lavoro.
Ha spiegato che i fenomeni di sfruttamento riguardano soprattutto quei prodotti che devono essere raccolti in tempi brevi e in gran quantità. Essendoci una grande disponibilità di prodotti, possono quindi essere venduti sul mercato a bassi costi. Tuttavia qualcuno deve pur pagare questi costi e, secondo la denuncia di Ciconte, sarebbero proprio i braccianti che pagherebbero un costo altissimo con lo sfruttamento o, nei casi peggiori, con la vita.
Ciconte sottolinea poi un altro paradosso: i prodotti o costano troppo o troppo poco. Il cibo prodotto con una filiera produttiva etica e sostenibile ha un costo elevato, non accessibile a tutti. Il cibo prodotto con i metodi tradizionali costa invece troppo poco per poter remunerare adeguatamente tutte le parti della filiera. Secondo Ciconte bisogna interrompere questo circolo vizioso, partendo da un adeguamento dei salari e dei prezzi dei prodotti.