Nadia Cella: tutti prosciolti per l’omicidio che sconvolse l’Italia

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Non ci sarà, almeno per il momento, un processo per l’assassinio di Nada Cella, massacrata il 6 maggio 1996 nello studio di commercialista di Chiavari dove lavorava.

Il gip Angela Nutini ha deciso di non rinviare a giudizio Annalucia Cecere, 58 anni ritenuta di essere l’assassina.

La formula è il “non luogo a procedere”.

Niente processo anche per Marco Soracco, 61 anni, il titolare del lo studio di commercialista che era accusato di favoreggiamento e false informazioni al pm, così come la madre di lui, Marisa Bacchioni di 92 anni, anche per lei nessun processo.

Non sono state accolte le richieste della pm Gabriella Dotto che ha svolto le nuove indagini affiancata dalla polizia.

Ma contro questa decisione la Procura può presentare appello.

Annalucia Cecere era indagata per omicidio mentre Marco Soracco e la madre Marisa Bacchioni per favoreggiamento e false informazioni al pm.

Secondo la pm Gabriella Dotto, infatti, erano entrambi consapevoli, anzi lui avrebbe addirittura sorpreso Cecere nello studio con ancora le mani insanguinate e il corpo di Anda a terra, mentre negli ultimi interrogatori dopo la riapertura dell’inchiesta avrebbero mentito su quanto sapevano.

A quasi 27 anni di distanza dall’omicidio che sconvolse l’Italia, rappresentando quasi un doppione, un anno dopo, del delitto romano di via Poma, c’era soprattutto una persona che più che giustizia aspettava uno squarcio di luce, una possibile verità giudiziaria sulla morte di sua figlia.

Silvana Smaniotto, la mamma della vittima, in tutti questi anni ha sperato ma soprattutto ha lottato, come ha potuto, per sollevare un sottile ma opprimente velo omertoso che fin dall’inizio ha avvolto la tragica fine di Nada.

La ragazza lavorava come segretaria nello studio del commercialista Marco Soracco. Quest’ultimo venne inizialmente sospettato, più volte interrogato e poi prosciolto da ogni accusa.

Già all’epoca emersero alcune situazioni che però, come secondo gli atti d’indagine odierni, sarebbero stati sottovalutati o erroneamente valutati.Si comincia con il coinvolgimento di Annalucia Cecere.

I carabinieri, dopo la segnalazione di una vicina perquisiscono al sua abitazione e sequestrano alcuni bottoni che per i militari sono i gemelli di quello rivenuto sul luogo del delitto. Però il confronto verrà fatto solo in fotografia, alcuni aspetti non considerati (ad esempio l’assenza della cornice di plastica in quello trovato nello studio di via Marsala) e così il pm Filippo Gebbia fa un comunicato per dire che Cecere non c’entra nulla.

Sentiti oggi a verbale i funzionari di polizia hanno raccontato di non aver mai saputo nulla né dei bottoni ma anche di una telefonata anonima – che pure venne loro consegnata dallo stesso Soracco – ricevuta dalla madre del commercialista in cui una donna segnalava inequivocabilmente Cecere come la possibile assassina, ma avendola vista la mattina del delitto salire sul suo motorino con le mani insanguinate.

Sempre sul fronte degli indizi trascurati il fatto che alcuni religiosi i cui telefoni vennero messi sotto controllo alludevano anche loro alla Cecere come possibile autrice del delitto.

E poi ci sono le dichiarazioni, ribadite oggi, ma rilasciate un anno dopo il delitto dello zio di Nada che raccontava delle confidenze della nipote circa giri di soldi in nero nello studio Soracco.Una mole di atti in parte persi durante un alluvione che invase gli scantinati dell’allora palazzo di giustizia di Chiavari.

Ma quelli che si sono salvati sono stati riesaminati dalla criminologa Antonella Delfino Pesce. Si deve a lei la riapertura del caso. Insieme all’avvocata Sabrina Franzone che assiste la mamma di Nada, sono stati riallacciati una serie di fili strappati che hanno aiutato la procura a ricostruire un castello accusatorio.

Vero è che la nuova indagine a un certo punto aveva puntato molto su una serie di esami affidati ad uno specialista per trovare tracce di dna della sospettata Cecere su alcuni oggetti e sul motorino dell’epoca. I risultati però sono stati vani.

Allora si è puntato su testimonianze ed elementi già raccolti all’epoca. I famigliari di Nada pensavano di essere a un passo dalla possibile verità ma il gip non ha ritenuto sufficienti prove e indizi raccolti.

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Redazione Nazionale

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