La tragedia che ha devastato pure le famiglie dei due amici è avvenuta nei pressi della piazzetta Sedil Capuano, vicino di via Tribunali, dove i due giovani avrebbero trovato la pistola nascosta sulla ruota di un’auto parcheggiata.
Caiafa, quando ha ammesso di avere sparato, ha riferito di “essersi reso conto che si trattava di un’arma vera e propria solo al momento dello sparo e, in particolare, nel momento in cui aveva visto il sangue di Arcangelo a terra”.
“Tutto il gruppo di amici con i quali si trovava aveva visto l’arma e tutti erano consapevoli del gioco che stavano facendo lui e Correra”, ha aggiunto agli inquirenti.
Per la gip Maria Gabriella Iagulli, sarebbero quindi “false tutte le dichiarazioni rese dai giovani sentiti, che avevano riferito di non aver visto alcuna arma e, anzi, di non aver visto neanche il momento dell’esplosione del colpo”.
Secondo la giudice, non è credibile la versione del ritrovamento casuale della pistola, una calibro 9×21 con matricola abrasa e serbatoio maggiorato, che segnalano la sua provenienza illecita: “Solo chi avesse conosciuto il posizionamento preciso dell’arma avrebbe potuto vederla”, scrive la gip.
Inoltre, ancora da chiarire il ritrovamento di un secondo bossolo sul luogo del crimine.
Correra è stato ucciso da un colpo soltanto di pistola, ma è stato rinvenuto il proiettile inesploso che sarebbe di un calibro diverso da quello che ha ucciso il 18enne.
“Nessuno avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore, per strada alla libera apprensione da parte di terzi. La criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi che possono essere usate mille e mille volte ancora proprio perché, in quanto clandestine, sono difficilmente ricollegabili ai delitti commessi e ai loro autori. Tutta la condotta post factum tenuta da Caiafa dimostra che quell’arma non era stata trovata per caso. Inoltre, nessuno dei ragazzi presenti avrebbe parlato di ritrovamento casuale”, argomenta Iagulli.
A rendere nebulosi alcuni aspetti della vicenda pure il fatto che lo scooter utilizzato per trasportare il giovane agonizzante in ospedale non sarebbe appartenuto ad Arcangelo (così come sostenuto da Caiafa), ma sarebbe stato usato anche da persone legate alla criminalità.
“Caiafa è distrutto, pensa di continuo a quel momento, è consapevole di aver messo fine alla vita di colui che egli stesso definisce fratello. Si sono anche parlati prima che Arcangelo morisse: lui gli ha detto Stai con me“, ha affermato Giuseppe De Gregorio, avvocato del 19enne.
“Non è contestato l’omicidio al momento – ha specificato l’avvocato prima della decisione del gip – ma è detenuto per porto e detenzione di arma clandestina con conseguente reato di ricettazione”.
Per quanto riguarda la pistola, “Caiafa ha chiarito di averla rinvenuta nell’occasione stessa in cui è stata maneggiata. L’ha vista sul copertone di un’automobile, l’ha presa, l’ha maneggiata e in quel momento è partito il colpo. Non ha fatto menzione neanche allo scarrellamento. Maneggiare un’arma è diverso dall’averne la disponibilità, cosa che deve essere provata. Se la pistola è stata rinvenuta lì sul posto – questa la tesi della difesa – non possiamo parlare di detenzione e possesso”.
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