Pubblicato il 31 Maggio 2022
Una storia relativa a incidenti sul lavoro viene da Napoli, dove un seppellitore comunale ha avuto un infarto dopo aver sollevato un cadavere di 120 chili in un hotel del capoluogo partenopeo.
La sentenza e i fatti
Il Tribunale di Napoli, attraverso il giudice del lavoro firmatario Roberto De Matteis, ha stabilito di condannare il Comune a risarcire l’uomo per danno biologico e morale attraverso una sentenza dello scorso 26 maggio. I fatti risalgono al 2 gennaio del 2019 quando il seppellitore ebbe una forte fitta al petto e una mancanza di respiro mentre sollevava e trasportava per le scale di un albergo della zona di piazza Garibaldi una salma del peso di oltre 120 chili. Il regolamento del Comune prevedeva che a sollevare la salma fossero almeno 4 persone fornite di attrezzatura meccanica, ma in quel caso oltre all’uomo colpito da infarto c’era soltanto un’altra persona. Durante la sera l’uomo fu ricoverato e il giorno dopo venne operato per infarto.
I bollettini medici
Così il seppellitore ha fatto causa al Comune attraverso il suo avvocato Domenico Carrozza e il suo ricorso è stato accolto solo parzialmente. Nel dettaglio l’uomo, a causa dei forti dolori, è andato al Pronto Soccorso della casa di cura di Villa dei Fiori ad Acerra e gli è stata diagnosticata un’ischemia miocardica acuta. L’intervento chirurgico del giorno seguente fu nello specifico un’angioplastica coronarica perché l’esame coronografico evidenziava una malattia arteriosclerotica ostruttiva di due vasi coronarici. Il 5 gennaio fu il momento delle dimissioni con la diagnosi “sindrome coronarica acuta (NSTEMI), insorta dopo intenso sforzo fisico, trattata mediante PTCA ed impianto di stent medicati su ramo interventricolare anteriore e i ramo marginale ottuso“. Infine l’1 aprile dello stesso anno è tornato in servizio dopo diversi accertamenti medici.
La ricostruzione della vita lavorativa
Nel documento in cui il seppellitore che ha fatto causa al Comune ha fatto una ricostruzione della sua storia lavorativa in quarant’anni di servizio durante i quali ha sollevato diversi cadaveri dal peso superiore ai 100 chilogrammi e ha svolto il proprio lavoro in condizioni di disagio. Quest’ultima cosa derivava dal fatto che alcuni corpi senza vita erano prelevati da fossati in piena notte e in condizioni climatiche critiche. Oltre a ciò è stato sottolineato anche come “il documento di valutazione dei rischi del Comune di Napoli richiede che il sollevamento dei cadaveri deve essere effettuato da 4 operatori e che l’ente non ha dotato il ricorrente di mezzi meccanici per sollevare i cadaveri, specie nelle situazioni di particolare disagio. Non sono mai stato sottoposto a visita di idoneità, tenendo conto della predetta attività. Le patologie sofferte sono conseguenza degli sforzi fisici, straordinariamente ripetuti, gravosi e intensi, dovendo sollevare i cadaveri con l’aiuto di un solo necroforo”.
L’arringa difensiva del Comune
Il Comune di Napoli dal canto suo per la vicenda relativa al seppellitore si è costituito in giudizio smentendo il proprio difetto di legittimazione passiva in favore dell’Inail e ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata. Ha contestato anche le circostanze di fatto, ma il giudice ha respinto questa difesa e ha stabilito che “l’istruttoria ha confermato integralmente le circostanze fattuali poste alla base della domanda. Le complesse argomentazioni del consulente giustificano esaurientemente le conclusioni cui lo stesso è pervenuto, in quanto sono fondate su accurati esami clinici e su documentazione di strutture specialistiche e sono sorrette da una corretta e più che esauriente motivazione”. Così l’ente è stato condannato alle spese di risarcimento previste.
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