Pubblicato il 16 Novembre 2024
Siamo abituati ad assistere alla Haka, la tradizionale danza Maori neozelandese, sui campi di rugby. Mai però avremmo pensato di vederla nel Parlamento neozelandese, dove molti deputati di origine Maori hanno dato vita alla tradizionale danza per protesta contro il disegno di legge che rivede il trattato di fondazione del paese e i rapporti con la popolazione di origine polinesiana.
L’urlo di protesta dei parlamentari Maori
A dare il via alla danza con il tradizionale grido di battaglia Maori è stata la deputata del partito di opposizione Hana-Rawhiti Maipi-Clarke. La donna, quando le è stato chiesto se il suo partito fosse d’accordo con il nuovo disegno di legge, ha iniziato a intonare e danzare la Haka, seguita da molti altri deputati.
Partido Māori interrompe sessão do Parlamento da Nova Zelândia (Aotearoa) com a dança tradicional (haka) e consegue impedir votação de projeto de lei que ataca os direitos dos povos indígenas, apoiado pela coalizão de direita que governa o país. pic.twitter.com/MvXZz0vB3v
— Pablo (@pablommachado) November 14, 2024
La seduta è stata sospesa per 30 minuti, ma nel frattempo era stato organizzato un hikoi, cioè una marcia di protesta pacifica verso la capitale Wellington, da un gruppo che si batte per i diritti Maori. Migliaia le persone che hanno marciato per 10 giorni contro il disegno di legge e il corteo è arrivato ad Auckland lo scorso mercoledì 13 novembre.
I punti controversi del disegno di legge
Il disegno di legge presentato dal partito di centrodestra Act sta accendendo il dibattito politico in Nuova Zelanda, sollevando aspre critiche tra la comunità Maori. La proposta mira a ridefinire i principi del Trattato di Waitangi, siglato nel 1840 tra la Corona britannica e numerose tribù Maori, accordo storico che ha regolato i rapporti tra le due parti e introdotto forme di riparazione per le conseguenze della colonizzazione.
Secondo Act, la normativa vigente avrebbe acuito le tensioni razziali, e il nuovo disegno di legge punta a garantire maggiore equità affrontando la questione in Parlamento anziché nelle aule dei tribunali. Tuttavia, la proposta è stata criticata anche per il mancato coinvolgimento dei Maori nel processo di revisione del Trattato, un aspetto che ha esasperato ulteriormente gli animi.
I principi contestati
Sono tre i principi fondamentali stabiliti dalla proposta di legge:
- il Parlamento ha diritto di governare e il Parlamento di legiferare;
- i diritti dei Maori devono essere rispettati dalla Corona;
- tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e devono ricevere uguale protezione.
Secondo David Seymour, leader di Act, l’assenza di una definizione legale chiara di questi principi ha consentito ai tribunali di adottare decisioni che, a suo dire, avrebbero compromesso la parità dei diritti.
Il primo ministro Christopher Luxon, pur appartenendo a una coalizione di governo con Act, ha espresso riserve, definendo il disegno di legge “divisivo”.
Il provvedimento è stato approvato in prima lettura, ma il suo iter parlamentare è incerto, soprattutto dopo la sospensione della deputata Maipi Clarke, che aveva apertamente criticato la proposta.
Un quadro di disuguaglianze
La questione del Trattato si inserisce in un contesto più ampio di tensioni tra il governo e la comunità Maori. Tra le misure recenti che hanno suscitato polemiche, spicca la chiusura dell’Autorità sanitaria Maori, istituita dal precedente governo laburista per promuovere l’equità in ambito sanitario. Inoltre, l’attuale esecutivo ha dato priorità all’uso della lingua inglese rispetto al Maori nella denominazione ufficiale delle organizzazioni pubbliche.
Nonostante i Maori rappresentino il 18% della popolazione, secondo l’ultimo censimento, rimangono marcate disparità nei settori della salute, istruzione, reddito e giustizia. Il divario nell’aspettativa di vita, ad esempio, è ancora di sette anni rispetto alla popolazione generale.
Il Trattato di Waitangi, considerato uno dei pilastri fondanti della Nuova Zelanda moderna, continua così a essere un tema sensibile, capace di infiammare il dibattito politico e sociale nel paese.