« Torna indietro

Osteoporosi e Covid-19: sottostima della malattia e fratture aumentate del 30%

Pubblicato il 19 Maggio 2022

Il 50% dei pazienti non segue il trattamento prescritto e lo interrompe entro il primo anno

19.5.2022 – Le persone anziane affette da osteoporosi in Italia (oggi circa 5 milioni) durante il lungo blackout dovuto alla gestione sanitaria della pandemia non sono state visitate, non hanno potuto effettuare una densitometria (o MOC, mineralometria ossea computerizzata), né hanno ricevuto una diagnosi o seguito alcuna terapia. Fra le conseguenze più gravi c’è stato l’aumento del numero di fratture dovute a osteoporosi non riconosciuta e non trattata (+30%, su circa 560 mila/anno), oltre a un maggiore rischio di morte legato al peggioramento della qualità di vita del paziente considerato fragile.

Sono fra le evidenze emerse da un focus group, un gruppo di miglioramento formato da Vania Braga, endocrinologa dell’Università degli studi di Verona e responsabile del centro di riferimento per l’osteoporosi della ULSS 9 scaligera; Anna Lyres Kunzle, chirurgo ortopedico e traumatologa dell’Università degli Studi di Brescia; Alberto Magni medico di medicina generale e responsabile delle politiche giovanili per la SIMG, la società italiana di medicina generale; Giuseppe Petrosino, economista sanitario, fondatore dell’agenzia Paradeigma Consulting di Milano; Gianantonio Saviola, reumatologo dell’IRCSS Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Castel Goffredo, Mantova; e Silvia Scolari medico fisiatra della Casa di Cura Villa Barbarano di Salò. I risultati emersi dal focus sono stati presentati durante il 10° congresso nazionale “Gardareuma”, che si è concluso a Sirmione lo scorso 14 maggio, sotto la presidenza di Franco Franceschini, docente di reumatologia e immunologia clinica dell’Università degli studi di Brescia.

“L’impatto del Covid-19 sulla malattia, un vero tsunami, ha purtroppo messo a fuoco e amplificato alcune criticità già presenti nel sistema sanitario – ha commentato Vania Braga – che per quanto riguarda la gestione e il trattamento del paziente con osteoporosi non è ancora sufficientemente integrato. Anche il medico di medicina generale può prescrivere il trattamento più appropriato ed efficace per il paziente fragile, seguendo le indicazioni della nota 79 redatta dall’AIFA, l’agenzia italiana del farmaco. Lo specialista interviene successivamente, e di fronte a una frattura andrebbe sempre accertata la presenza o meno di osteoporosi”.

Per il trattamento farmacologico dell’osteoporosi vengono somministrati alcuni principi attivi in grado di mettere a riposo l’osso, bloccare la perdita di calcio e stimolare nuova produzione ossea: i bisfosfonati, composti sintetici in grado di fissarsi sulla superficie dell’osso e ridurne il riassorbimento; gli anticorpi monoclonali ovvero contro-proteine ad attività anabolica in grado di stimolare la produzione dell’osso; le terapie ormonali sostitutive; oltre all’integrazione con calcio e vitamina D prevista dai protocolli terapeutici.

Il blackout dovuto al Covid-19, con lo stop delle visite e dei controlli specialistici, ha tuttavia provocato anche l’accelerazione di processi positivi per migliorare il servizio sanitario offerto al paziente anziano. Per esempio, la possibilità di condividere i dati già disponibili sul paziente e utilizzare le nuove tecnologie. Per Alberto Magni “è il medico di medicina generale il primo contatto del paziente fragile, che spesso – anche in momenti non segnati dalla pandemia – non è in grado di muoversi e uscire di casa autonomamente per recarsi in ambulatorio. In termini di prevenzione, il medico di base è già in possesso di molte informazioni utili per agire preventivamente sul rischio frattura del paziente. Conosce la sua storia clinica, il contesto sociale e familiare, e può accedere alla banca dati della Regione di riferimento, per esempio per quanto riguarda eventuali ricoveri ospedalieri e altre malattie croniche – può quindi incrociare le informazioni per identificare tempestivamente il paziente fragile, facendo una prima valutazione multidimensionale del suo rischio, e avviare una rete di intervento multidisciplinare e follow-up”.

Per prevenire il rischio di cadute e fratture, e conseguente perdita di autonomia, il medico di medicina generale può verificare se il paziente ci vede e ci sente adeguatamente, e inoltre valutare il suo stile di vita per raccomandare un esercizio fisico moderato ma continuo; un’alimentazione sana e variata; l’assunzione limitata di bevande alcoliche; l’interruzione dell’abitudine al fumo.

Il medico deve tuttavia poter contare su un interlocutore collaborativo: la persona fragile va formata, informata e motivata, e anche chi se ne prende cura, il cosiddetto caregiver – assistente, familiare, o badante. “È necessario formare coloro che assistono i nostri pazienti. La telemedicina, il teleconsulto con l’utilizzo di semplici app, può facilitare il lavoro del professionista sanitario nel seguire il paziente anche a distanza” –ha proseguito Magni.

Cosa fare allora, sulla scorta delle indicazioni emerse dal lavoro del focus group ?

“Occorre soprattutto fare squadra, networking fra noi professionisti della salute – ha aggiunto Braga –Formazione è la parola chiave, insieme a dialogo perché i medici di base, gli infermieri e gli specialisti devono cominciare a parlarsi. Formazione del paziente e del caregiver per una maggiore aderenza alla terapia e rispetto della prescrizione. Ma anche del medico, del personale sanitario per accrescere la conoscenza dell’osteoporosi e dei protocolli terapeutici già esistenti. Anche poter disporre di dati raccolti in modo sistematico è importante. Oggi sono parziali e non sempre aggiornati”.

Gli esperti hanno ricordato che la percentuale di aderenza al trattamento, o compliance, del paziente osteoporotico è generalmente bassa: circa il 50% per cento dei pazienti non segue regolarmente la cura prescritta, e la interrompe entro un anno. Solo il 40% arriva al secondo anno, e questo incide negativamente non solo sull’efficacia della terapia farmacologia, ma anche sulla spesa sanitaria a carico del sistema sanitario nazionale.

“Ripensare e riorganizzare il sistema sulla domanda di cura del paziente fragile e non sull’offerta già disponibile” – ha affermato Giuseppe Petrosino. Una migliore organizzazione che si articola lungo alcuni assiportanti:il concetto di empowerment del paziente il quale, secondo l’OMS (l’organizzazione mondiale della sanità), deve essere al centro del processo sia decisionale che di cura che lo riguarda, e coinvolto in modo attivo fin da subito nella relazione con i professionisti sanitari, che spesso sottostimano le conseguenze di un mancato trattamento dell’osteoporosi. La persona che ne soffre e chi la assiste devono poter comprendere tutti gli aspetti della malattia e della terapia, in modo chiaro e semplice. E possono imparare a usare qualche semplice strumento tecnologico per interfacciare il medico da remoto, inviando informazioni sempre aggiornate via web”.

Circa l’asse economico-finanziario: “Per realizzare questo obiettivo vanno utilizzate a pieno le risorse finanziarie previste dal progetto comunitario NextGenerationEU, secondo la declinazione prevista nel PNRR, il nostro piano nazionale di ripresa e resilienza. È un’occasione che non possiamo permetterci di sprecare – solo per la sanità territoriale ci sono 8 miliardi di euro a disposizione. Possiamo avviare progetti tramite partenariati pubblico-privato, per far crescere la sanità del territorio nella prevenzione e trattamento dell’osteoporosi, e migliorare la qualità di vita della cittadinanza anziana” ha concluso Petrosino.