Papa Francesco bacia la mano di una nativa americana (VIDEO)

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E’ iniziata con un baciamano la visita di Papa Francesco in Canada.

L’aereo del Pontefice, decollato stamane da Roma, è atterrato all’aeroporto di Edmonton, capoluogo della provincia occidentale dell’Alberta, prima tappa della sua visita nel Paese.

Alla base della scaletta, Francesco è stato accolto dalla governatrice generale Mary Simon e dal primo ministro Justin Trudeau.

All’aeroporto Bergoglio è stato accolto dai membri di una tribù indigena e ha voluto salutare una donna baciandole la mano. 

“Cari fratelli e sorelle del Canada, vengo tra voi per incontrare le popolazioni indigene. Spero che, con la grazia di Dio, il mio pellegrinaggio penitenziale possa contribuire al cammino di riconciliazione già intrapreso. Per favore, accompagnatemi con la #preghiera”, aveva scritto Francesco in un tweet alla partenza per il Canada.

E a Maskwacis, in Alberta, incontrando i nativi canadesi, ha ribadito:

“Giungo nelle vostre terre natie per dirvi di persona che sono addolorato, per implorare da Dio perdono, guarigione e riconciliazione, per manifestarvi la mia vicinanza, per pregare con voi e per voi”.

Nell’area, abitata dalla popolazione Cree, sorge la “scuola residenziale” Ermineskin, attiva dal 1895 al 1975, dove si registrarono abusi e sopraffazioni. Esprimendo “l’indignazione e la vergogna” Francesco ha aggiunto: “Questo non è un punto d’arrivo,ma di partenza”.

Quello di Bergoglio è il trentasettesimo viaggio internazionale del suo pontificato, che porta a 56 i Paesi da lui visitati. Ed è il quarto viaggio di un pontefice in Canada, dopo i tre di Wojtyla, nel 1984, nel 1987 e nel 2002.

I capi delle comunità autoctone First Nations, alla vigilia dell’arrivo in Canada di papa Francesco, l’hanno detto forte e chiaro: “È un momento storico importante per i sopravvissuti del sistema scolastico residenziale e del danno causato dalla Chiesa cattolica. Siamo stati colpiti tutti da questo sistema, direttamente o indirettamente. Queste scuse riconoscono quanto abbiamo vissuto e creano un’opportunità per la Chiesa di riparare ai rapporti con i popoli indigeni in tutto il mondo. Ma non finisce qui: c’è molto da fare. È solo un inizio”.

Le parole del Gran Capo George Arcand Jr., distribuite alla stampa dalla Conferenza episcopale canadese, mostrano quanto sia ancora laborioso e difficile il percorso di “guarigione e riconciliazione” dopo gli orrori del sistema delle “scuole residenziali”, sostenuto in gran parte anche dalla Chiesa cattolica, nel programma governativo di assimilazione delle popolazioni aborigene.

Si stima che, a partire dal 1883 fino agli anni ’60 del secolo scorso – ma l’ultima scuola fu chiusa solo nel 1996 -, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit siano stati obbligati a frequentare una delle 139 scuole distribuite in tutto il Paese, rompendo il legame con le loro famiglie, con la loro lingua e cultura per essere trasformati in piccoli cristiani. Tra abusi di ogni tipo – anche sessuali -, reclusioni e percosse a scopo punitivo-intimidatorio, a causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila di questi bambini hanno trovato la morte.

Il “pellegrinaggio penitenziale” di papa Francesco tra le comunità native canadesi che comincia oggi, dopo gli incontri a Roma tra marzo e aprile scorsi e le attestazioni di “indignazione” e “vergogna” da parte del Pontefice, vuole testimoniare proprio sui luoghi del dolore il pentimento delle autorità cattoliche rispetto ai soprusi del passato e lasciarsi alle spalle una volta per tutte l’ideologia della Chiesa colonialista.

E nonostante le difficoltà che emergono, e malgrado i seri problemi di deambulazione, l’85/enne Francesco affronta questo impegnativo viaggio, fatto anche di grandi distanze, con forte determinazione. “È certamente impossibile rispondere a tutti gli inviti e visitare tutti i luoghi, ma il Santo Padre è sicuramente mosso dalla volontà di manifestare una concreta vicinanza – assicura a Vatican News il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin -. Ecco, direi che vicinanza è, anche in questo caso, la parola chiave: il Papa non intende solo dire delle parole, ma soprattutto farsi vicino, manifestare la sua vicinanza in modo concreto. Perciò si mette in viaggio, per toccare con le sue mani le sofferenze di quelle popolazioni, pregare con loro e farsi pellegrino tra di loro”.

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Redazione Nazionale

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