Pubblicato il 28 Luglio 2022
Così Papa Francesco nella Messa al santuario di Sainte-Anne-de-Beaupré.
Nel suo pellegrinaggio in Canada, giunto al quinto giorno, per chiedere perdono alle popolazioni autoctone, Francesco avverte “il peso del fallimento” e ammonisce, “non c’è cosa peggiore che fuggire davanti ai fallimenti”.
Uno striscione degli indigeni chiede: stop a dottrina della scoperta.
Francesco invita ad attingere alla sapienza, alla cultura e alla laboriosità dei popoli autoctoni per recuperare un’armoniosa visione del creato e sane relazioni sociali. È denso e ricco di contenuti il discorso del Papa, e tocca anche il tema delle colonizzazioni odierne.
Tutto questo porta ad una “cancel culture”, sottolinea Francesco, la quale “valuta il passato solo in base a certe categorie attuali”. Si fa spazio, così, “una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze”, si concentra solo sul presente, “sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli”. Ossia i poveri, i migranti, gli anziani, gli ammalati, i nascituri, “dimenticati nelle società del benessere” e scartati “nell’indifferenza generale”.
E prende spunto dagli elementi che la natura offre in Canada, il Papa, per proporre efficaci immagini che parlano all’uomo contemporaneo. Sicché quegli alberi d’acero, che sono diventati simbolo del Paese, con le loro “ricche chiome multicolori” ricordano “l’importanza dell’insieme, di portare avanti comunità umane non omologatrici, ma realmente aperte e inclusive. E come ogni foglia è fondamentale per arricchire le fronde, così ogni famiglia, cellula essenziale della società, va valorizzata”. E invece a minacciarla oggi sono “violenza domestica, frenesia lavorativa, mentalità individualistica, carrierismi sfrenati, disoccupazione, solitudine dei giovani”, abbandono dei più fragili. Eppure, nelle famiglie indigene, “già da bambini si impara a riconoscere che cosa è giusto e che cosa sbagliato”, osserva il Pontefice, “a dire la verità, a condividere, a correggere i torti, a ricominciare, a rincuorarsi, a riconciliarsi”.
Per il Pontefice i “salutari valori presenti nelle culture indigene” possono essere d’ispirazione per chiunque “e possono contribuire a risanare le nocive abitudini di sfruttare il creato, le relazioni e il tempo, e di basarsi solo sull’utile e il profitto. Ma tali insegnamenti “sono stati violentemente avversati in passato”, soprattutto dalle “politiche di assimilazione e di affrancamento” e dal “sistema scolastico residenziale, che ha danneggiato molte famiglie indigene, minandone la lingua, la cultura e la visione del mondo”. Un “sistema deprecabile”, lo definisce Francesco, che, “promosso dalle autorità governative dell’epoca”, “ha separato tanti bambini dalle loro famiglie”, con il coinvolgimento di “diverse istituzioni cattoliche locali”.
Ora è tempo di “impegnarsi insieme”, rimarca il Papa, per “promuovere i legittimi diritti delle popolazioni native e favorire processi di guarigione e di riconciliazione tra loro e i non indigeni del Paese”. Da qui l’invito alle autorità civili “a rispondere in modo adeguato agli appelli della Commissione per la verità e la riconciliazione”.