Pubblicato il 11 Ottobre 2022
Questo il metodo su cui sta lavorando il Pd che domani vedrà il primo incontro degli eletti convocati da Enrico Letta.
Con un congresso alle porte, si ragiona nel Pd, “ricercare accordi singoli farebbe deflagrare le divisioni”, ma tutto avverrà “nell’autonomia dei gruppi”, si sottolinea.
Gruppi che al momento non hanno una geografia definita. E non lo sarà finché non si entrerà nel vivo del percorso congressuale.
Quindi vanno cercati dei vertici in Parlamento che possano rappresentare tutti di qui a 6 mesi quando ci sarà il nuovo segretario e il nuovo gruppo dirigente.
Tuttavia si starebbe facendo largo un’altra valutazione: le due presidenti (che Letta stima molto, sottolineano al Nazareno) sarebbero però espressione di un’altra epoca, della legislatura del 2018 con Matteo Renzi segretario e quindi figlie di equilibri del tutto diversi.
Ora, si fa notare, “i gruppi sono più bilanciati” rispetto a prima dove la sinistra dem era ben poco rappresentata.
Per quanto riguarda le nomine istituzionali, al Pd si sta ragionando su 4/5 nomi complessivi: 3 nomi certi, più una carica elettiva tra Camera e Senato e la presidenza di una delle 4 commissioni di garanzia affidate all’opposizione.
Anche se, al momento, le divisioni non sono ancora chiare. A partire dalle vicepresidenze di Camera e Senato. “Non sappiamo se ce ne daranno due”, dicono i dem. Del resto, le interlocuzioni con la maggioranza e con gli altri partiti di opposizione non ci sono ancora state.
In pole il ministro uscente della Difesa, Lorenzo Guerini, o con più probabilità Enrico Borghi, già capogruppo dem al Copasir nella legislatura passata.
Nella riunione degli eletti domani con Letta si parlerà anche dei primi voti d’aula per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. “Ancora non sappiamo nemmeno chi saranno…”.
Ma l’orientamento, spiegano fonti parlamentari, potrebbe essere quello della scheda bianca: “Non si vota contro le cariche istituzionali”.