Pubblicato il 17 Gennaio 2024
Destò molto scalpore il caso di Giovanni Di Presa, insegnante a Castelfidardo in provincia di Ancona, accusato di aver molestato 4 ragazzine e di averne picchiata un’altra. I fatti risalgono al 2018, quando l’uomo stava lavorando come professore di sostegno a tempo determinato nella scuola media Soprani.
Le accuse si rivelarono false e infatti Di Presa ottenne l’assoluzione in primo grado nel 2021 per l’accusa di stupro e un’altra in Corte di Appello. Di Presa ha raccontato la sua odissea al Corriere della Sera: “Iniziò tutto nel novembre del 2018 con una convocazione da parte della professoressa fiduciaria del plesso e le accuse di violenza sessuale. Alcune alunne, ed è solo un esempio, mi avevano accusato di aver toccato loro il fondoschiena”.
“Ero un amico con gli alunni”
La denuncia da parte delle ragazzine partì probabilmente quando Di Presa decise di sequestrare uno smartphone, episodio che lui ha ricordato così: “Accadde dopo il sequestro di uno smartphone, che può capitare se uno o più alunni esagerano. Ma in quel caso quattro adolescenti si coalizzarono contro di me”.
Un’accusa che lasciò pietrificato Di Presa, anche perché come ha raccontato ha sempre cercato di instaurare “un rapporto amichevole, mi facevo chiamare “Gianni”, avevo rinunciato a mettere un muro tra me e loro, un confine, ero quasi un amico. Forse a pensarci ora sarebbe stato più conveniente comportarsi diversamente”.
Poi le cose sono cambiate dopo il sequestro di un cellulare: “Venivo guardato male se toccavo il ginocchio di un ragazzo che si era fatto male: ma io lo facevo perché sono un fisioterapista, per essere utile. Secondo queste ragazze io avrei commesso violenze in pubblico. Nessuno mi aveva denunciato per essermi appartato in un posto nascosto. Già questo doveva far comprendere che fossi innocente. E non escludo che qualcuno mi abbia denunciato sperando di guadagnare con i risarcimenti”.
“Disposto a incontrare le mie accusatrici”
Nonostante il male che gli hanno fatto, Di Presa si è detto disposto a incontrare le ragazzine che gli hanno fatto vivere un incubo: “Per chiedere loro perché lo hanno fatto. In realtà mi è già capitato di incontrare per caso qualche studente: sono stato fotografato e la foto ha fatto il giro delle loro chat, tra gli sfottò. Credo debbano essere le famiglie a chiedere conto di vicende come questa: perché la scuola a mio avviso funziona ancora, ma sono le famiglie a rinunciare spesso al loro ruolo. Pesavo 120 chili, poi quest’odissea me ne fece perdere trenta. Ma vorrei tornare a insegnare. Anche in quella scuola, senza rancore”.