Pubblicato il 28 Aprile 2022
“Siamo venute a Roma per raccontare alla gente la verità su Mariupol, i nostri mariti stanno ancora resistendo nell’acciaieria ma il tempo stringe”.
Comincia così l’intervista esclusiva del Corriere della Sera a Kateryna Prokopenko, moglie di Denis Prokopenko, il super comandante del reggimento Azov per anni in prima linea con i filorussi nel Donbass, da Putin additato come rappresentante di quelle forze “neo-naziste” da cui l’Ucraina deve essere “liberata” e da Zelensky decorato poche settimane fa come “eroe” del Paese.
“Sono orgogliosa di mio marito, per districarsi dalla propaganda occorre guardare ai fatti: Denis e i suoi uomini stanno difendendo tutti noi – afferma Kateryna, illustratrice e disegnatrice di fumetti che, dice al Corriere, ha messo via (per il momento) matita e carta per andare in giro a raccontare la sua verità.
La moglie di Prokopenko è nella Capitale con altre tre compagne di militari intrappolati nell’acciaieria: Yulya Fedosiuk è una ex addetta stampa e assistente di un giovane parlamentare del partito di Zelensky, che non vede il marito, Arseniy Fedosiuk, dall’inizio della guerra, ormai da oltre due mesi “Ma lo sento, ho saputo che dieci giorni fa è riuscito a raggiungere il resto del reggimento trincerato nell’acciaieria nuotando da una sponda all’altra del fiume”.
Anya Naumenko, 25 anni, di Kharkiv, manager di un’azienda che produce attrezzature industriali, sta con Dmytro Danilov dal 2014: “Avremmo dovuto sposarci il prossimo maggio, chissà», sospira. «Lo sento ogni due giorni, di solito gli racconto del nostro cane e di altre amenità così da fargli pensare che esiste ancora una vita al di là della guerra”.
PUSSY RIOT
Ad accompagnarle in questo viaggio in Italia è Pyotr Verzilov, il dissidente russo fondatore delle Pussy Riot ed editore di Mediazona, sito indipendente di notizie, “l’unico in Russia assieme a Meduza ad aver raccontato la guerra in Ucraina” – afferma -Da quando in Russia siamo stati bloccati, i nostri lettori sono aumentati: aggirano il blocco usando vpn e social”. Verzilov ha vissuto lo stesso incubo di Alexei Navalny, ma due anni prima: hanno tentato di avvelenarlo e si è ripreso dopo essere stato trasferito dalla Russia a Berlino, nell’ospedale Charité, lo stesso dove sarebbe stato curato poi nel 2020 il principale oppositore russo.
NON SONO NEONAZISTI
“Ho conosciuto Denis nel 2015 sui social media, io ero nella mia città, Kiev, lui combatteva nel Donbass. Tutti e due siamo appassionati di musica e trekking, ci siamo piaciuti subito. Abbiamo iniziato a fare delle camminate insieme. Fino alla vacanza “decisiva”: nel 2018, un giro tra le cascate norvegesi. Una mattina al mio risveglio Denis mi indicò il pacchetto che aveva portato per me nella notte uno dei troll tipici del posto: dentro c’era un anello con incisa una montagna. Ci sposammo l’anno successivo a Kiev, dove è nato pure lui – racconta Kateryna – Mio marito è una miscela unica di coraggio, integrità morale, disciplina. Sempre pronto ad aiutare, non si tira mai indietro”.
“Si tratta di propaganda – dice con forza riferendosi alle accuse di neonazismo – Se difendere il proprio Paese da aggressioni esterne significa essere nazionalisti, allora Denis sì, è un nazionalista: come puoi dirti ucraino se non sei disposto a salvare il tuo Paese fino alla morte? Ma nazista no. Nel reggimento ci sono anche ebrei, azeri, tartari di Crimea. Nazista è l’espansionismo russo di Putin. Batterti per il tuo Paese sembra un valore astratto ma è qualcosa di concreto: vuole dire difendere la gente, donne e bambini dai crimini degli aggressori. I soldati ci stanno proteggendo”.