Pubblicato il 22 Aprile 2021
La fibrillazione atriale, la più comune tra le aritmie cardiache, causa declino cognitivo e demenza, anche in assenza di eventi clinici evidenti, come il classico ictus cerebrale. Questo il risultato di un importante studio appena pubblicato su Europace, la prestigiosa rivista scientifica internazionale di aritmologia cardiaca.
La ricerca è stata condotta da un gruppo multidisciplinare formato da cardiologi e ricercatori dell’ospedale Molinette della Città della Salute e dell’Università di Torino (professor Matteo Anselmino, dottor Andrea Saglietto, dottoressa Daniela Canova) e da un team di ingegneri del Politecnico di Torino (professor Luca Ridolfi e professoressa Stefania Scarsoglio). Il loro lavoro ha permesso di studiare per la prima volta nell’uomo gli effetti esercitati dalla fibrillazione atriale sul flusso sanguigno nei piccoli vasi cerebrali. Mediante l’utilizzo di una metodica nota come spettroscopia quasi infrarossa (NIRS), infatti, piccole sonde applicate sulla cute della fronte del paziente consentono di ottenere informazioni sul flusso sanguigno a livello del cervello.
Gli studi, svolti su circa 50 pazienti con fibrillazione atriale afferenti alla Cardiologia universitaria dell’ospedale Molinette, hanno permesso di dimostrare come in corso di aritmia si generino transitorie ma ripetute alterazioni del flusso a livello del microcircolo cerebrale. “Crediamo che queste transitorie riduzioni critiche dell’afflusso di sangue al cervello contribuiscano a lungo termine alla genesi della demenza e più in generale al deficit cognitivo associato alla fibrillazione atriale”, afferma il professor De Ferrari.
Importante evidenziare come le alterazioni della circolazione cerebrale registrate dalla NIRS in corso di fibrillazione atriale tendano a scomparire al ripristino del normale ritmo cardiaco tramite una cardioversione elettrica. “Oggi noi possiamo offrire ai pazienti con fibrillazione atriale una tecnica molto efficace nel mantenere il ritmo sinusale a lungo termine, come l’ablazione transcatetere – afferma il professor Anselmino – ed abbiamo pertanto in programma di valutare se con questo approccio sia possibile ridurre il declino cognitivo in questa popolazione di pazienti”.
Considerando che la fibrillazione atriale aumenta con l’aumentare dell’età e ci si attende un raddoppio dei casi di fibrillazione atriale entro il 2050, è evidente quanto sia stato importante capire i meccanismi che legano la fibrillazione atriale alla demenza, al fine di poter ottimizzare le strategie terapeutiche e minimizzare il deficit cognitivo correlato all’aritmia, con enormi potenziali ricadute sulla qualità della vita e la gestione dell’assistenza socio-sanitaria dei pazienti.
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