Accertata con sicurezza l’identità del corpo fatto ritrovare da un parente della giovane sepolto in un casolare abbandonato, a poche centinaia di metri dall’abitazione della famiglia, così come ricostruisce il Corriere.
“È stata identificata da un’anomalia dentaria, grazie a foto e video”, riferisce l’avvocato Barbara Iannucelli, che assiste l’associazione “Penelope” ed è parte civile nel processo che a febbraio inizierà a carico di cinque familiari della giovane pachistana, uccisa la notte del 30 aprile 2021.
Aggiunge Iannucelli: “La dottoressa ha richiesto l’integrazione con il tossicologo e il genetista con il quale procederemo all’analisi dei vestiti per capire se sugli stessi ci possono essere tracce di dna di altri soggetti. Adesso attendiamo l’udienza fissata per il 10 febbraio dalla Corte di Assise di Reggio Emilia per la nomina di questi altri consulenti. Noi, come associazione, siamo parte a tutti gli effetti di questi accertamenti. Per tutte le mamme dell’associazione Penelope che salutano i loro figli la mattina e non li vedono più per il resto della loro vita, siamo qui perché vorremmo essere la famiglia di Saman e cercare di fare giustizia per lei”.
Secondo le indagini Danish Hasnain, uno zio della ragazza, è considerato l’autore materiale del delitto, che sarebbe avvenuto la sera del 30 aprile 2021 a Novellara e che sarebbe stato pianificato da tutti i famigliari. Nei mesi scorsi venne resa nota un’intercettazione telefonica fatta dal Nucleo investigativo dei carabinieri e risalente a giugno 2021. Parole del padre della 18enne, Shabbar Abbas, che dal Pakistan, dov’era atterrato con la moglie il primo maggio, parla con un parente in Italia: “Ho ucciso mia figlia – gli dice, intimandogli poi di non dire nulla – Per me la dignità degli altri non è più importante della mia. Io ho lasciato mio figlio in Italia, ho ucciso mia figlia e sono venuto, non me ne frega nulla di nessuno. Io sono già morto, l’ho uccisa io, l’ho uccisa per la mia dignità e per il mio onore”.
Noi l’abbiamo uccisa, intendendo secondo gli inquirenti, con quel noi, i parenti. L’uomo poi, dopo l’arresto, avrebbe cambiato versione spiegando al giudice pakistano che la figlia sarebbe stata ancora in vita in Italia.
Shabbar potrebbe non tornare mai più in Italia, non prendendo così parte al processo che inizierà a suo carico, nel prossimo febbraio. E proprio l’uomo il 10 gennaio comparirà dinanzi alla corte ad Islamabad, luogo in cui si trova in carcere, per quella che sarà la quinta udienza: nelle precedenti quattro vi sono stati altrettanti rinvii, ultima quella del 15 dicembre in cui il suo difensore legale non si è presentato in aula. Per il padre di Saman, quella del 10 gennaio, sarà di fatto l’ultima chiamata per tornare in Italia. L’ordinamento giuridico pachistano prevede che i termini per l’estradizione scadano due mesi dopo l’arresto.
Shabbar e la moglie, assieme a due cugini Ikram Ijaiz e Nomanhulaq Nomanhulaq, e allo zio Danish Hasnain sono accusati di averla sequestrato ed ucciso Saman che prima si sarebbe ribellata a un matrimonio forzato, e che poi sarebbe stata giustiziata dai familiari. L’ipotesi più realistica è che Saman sia stata strangolata, ma serviranno altri accertamenti per confermare la dinamica del delitto.
“Tutti danno per provata la responsabilità del padre di Saman sulla base delle intercettazioni, ma queste da sole non bastano. Devono – conclude l’avvocato Iannuccelli – esserci riscontri oggettivi”.
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