Emanuele Filiberto: “Ridateci ciò che è nostro o andremo fino alla Corte europea”

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Vittorio Emanuele di Savoia e le sorelle Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, figli dell’ultimo Re d’Italia Umberto II, faranno causa al governo italiano per riavere i gioielli della famiglia reale, che da 76 anni sono custoditi in un caveau della Banca d’Italia, a Roma.

La battaglia dei Savoia

Dopo questo annuncio, Emanuele Filiberto di Savoia ha spiegato che “non è un atto ostile verso l’Italia, – ha raccontato al Corriere della Sera – tantomeno verso il premier Draghi. Ha tutta la stima della famiglia Savoia e personalmente ricordo di aver già affrontato con lui il tema dei gioielli anni fa”.

 “Su questa battaglia la famiglia è molto unita. – fa sapere l’erede della Casa Reale –  Anche perché era tempo di venire allo scoperto per chiedere la restituzione di quello che è di Casa Savoia”, solo la restituzione di beni privati di famiglia. Come è stato restituito negli anni alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, persino agli eredi degli zar”.

Cosa dice la legge

Il 2 giugno 1946 ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica. La maggioranza, come è noto, fu a favore della Repubblica.

Con la caduta della monarchia, il tesoro della corona è passato di proprietà alla Repubblica Italiana, come previsto dalla Costituzione nella XIII disposizione transitoria e finale, che sancisce: “I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi che si siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli”.

“Andremo fino alla Corte europea”

La confisca, però, non sarebbe mai stata esercitata sulla parte del Tesoro, consistente nei gioielli di uso quotidiano dei membri della famiglia reale, quella su cui insistono ora i Savoia.

Una battaglia che Emanuele Filiberto sarebbe disposto a portare “fino alla Corte Europea, se necessario. – annuncia, spiegando però che – “andiamo avanti per le vie legali ma non è un atto ostile, avrei di gran lunga preferito una mediazione”.

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Giovanna Giaquinto

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